Autonomia, i paletti dei rettori «No alle università regionali la scienza non conosce confini»
L’ipotesi di bandi all’insegna del «prima i veneti» non piace
Mai concorsi per ricercatori col criterio «Prima i Veneti», i rettori di Padova, Venezia e Verona fanno muro contro l’autonomia che vira al localismo. La prospettiva di una regionalizzazione - provincializzazione delle eccellenze della ricerca ha aperto una faglia tra le università e la Regione Veneto. E quando il rettore di Ca’ Foscari Michele Bugliesi ha detto: «La ricerca deve seguire parametri internazionali, chiudersi nel localismo sarebbe un suicidio», ha interpretato il sentire dei colleghi.
«La prospettiva di concorsi universitari col criterio di Prima i Veneti mi trova in profondo disagio», sospira Nicola Sartor, rettore dell’università di Verona. Famiglia mitteleuropea che ha mescolato negli anni Monaco di Baviera, Bolzano, Treviso, Campobasso, Venezia e Parigi, il rettore scaligero porta questo suo essere europeo nel quotidiano. Parla senza alcun accento perché si sente italiano ed europeo, dice. «Sono appena tornato da un viaggio dal Giappone - racconta - Sapete chi è il pro-rettore del Kyoto Institute of Technology? Uno scienziato italiano, Giuseppe Pezzotti». Esperto di fisica dei materiali ceramici che è diventato un faro per gli studi interdisciplinari a cavallo tra fisica, medicina e ingegneria. «E se a Kyoto avessero fatto un concorso col criterio «Prima i Giapponesi»? E vogliamo parlare di Alberto Alesina, economista italiano che insegna al Mit di Boston? Adesso sono a Roma, a presiedere la commissione che valuta i progetti per la costruzione o la ristrutturazione di edifici da adibire a residenze universitarie. Edifici come quello ai Crociferi a Venezia o le Corti Maddalene a Verona. Pagati con i fondi dello Stato. E questo la dice già lunga su cosa io pensi del regionalismo in ambito accademico. Diciamo così: per fortuna la Costituzione tutela l’autonomia delle università e le università giurano fedeltà alla Costituzione».
«Chiariamo subito - rintuzza l’assessore regionale all’Istruzione Elena Donazzan Non ci saranno concorsi universitari col criterio Prima i Veneti perché non è possibile. Quello di cui stavamo parlando con i rettori, invece, è di una delibera che nulla ha a che fare con l’autonomia. Avevamo in mente un progetto per far rientrare in Veneto i cervelli all’estero». Un bando per favorire il rientro in patria di ricercatori ma il problema è che la legislazione nazionale e la buona prassi accademica internazionale non rendono possibile una corsia preferenziale per i veneti perché il tema di ogni facoltà è accaparrarsi i migliori, senza guardare alla residenza. «Se la critica un po’ sommaria è ad una proposta di delibera sulla quale stavamo parlando da sei mesi – spiega l’assessore – vuol dire che lavoreremo per far rientrare i cervelli nelle aziende, se non è possibile farlo nelle università». Altro è, invece, il progetto dell’autonomia del Veneto rispetto gli atenei, vale a dire favorire la ricerca finanziando i progetti più utili al territorio. «Cosa che già facciamo, nel massimo rispetto dell’autonomia delle università, staccando assegni di ricerca per quattro milioni», conclude Donazzan. Insomma, nel Veneto autonomo le questioni universitarie, le nomine, i corsi, non saranno mai decisioni prese da amici al bar nei pressi di palazzo Balbi.
A Padova la ricerca va da anni di pari passo con le esigenze confindustriali e il rettore Rosario Rizzuto si tiene alla larga dal dibattito autonomista. Al Bo la cautela va di pari passo con le remore associate alle voci di concorsi di ricerca per soli veneti. Allo Iuav di Venezia, il rettore Alberto Ferlenga mette in chiaro che il modello di Trento può essere il faro. A patto che l’autonomia di palazzo Balbi si tramuti in maggiori fondi per gli atenei ma che non si regionalizzi il sistema di valutazione, che oggi è nazionale. «Sarebbe un suicidio mettersi nell’angolo provinciale quando siamo all’apice dell’eccellenza a livello internazionale», argomenta. «L’autonomia delle università si lega alla responsabilità – conclude Sartor - Sento un senso di soffocamento dal punto di vista scientifico all’idea di voler mettere i confini alla scienza».
Torno ora dal Giappone, il pro rettore di Kyoto è un italiano. Ma ve lo immaginate un prima i giapponesi? Ferlenga Sarebbe un suicidio mettersi nell’angolo provinciale quando siamo eccellenze internazionali