Intervento letale «Fu omicidio volontario»
Nei guai il primario di cardiochirurgia. La difesa: «Falsità, è una vendetta che arriva dall’interno»
BRESCIA È accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione e futili motivi Claudio Muneretto, primario della Cardiochirurgia universitaria di Brescia. Il fatto contestato è la morte, nel febbraio 2016, di una paziente di Legnago, Angiola Maestrello.
BRESCIA Avrebbe agito per difendere la propria credibilità professionale, per non pregiudicarsi pazienti futuri, ma così facendo, operando contro ogni linea guida previsto in casi del genere, avrebbe provocato volontariamente la morte della paziente. Così un cardiochirurgo dell’ospedale Civile è finito sotto accusa per omicidio volontario aggravato da premeditazione e futili motivi. Sono pesantissime le accuse della Procura di Brescia contro Claudio Muneretto, 60 anni, di origini romane, ma residente nel Mantovano, primario della Cardiochirurgia universitaria dell’Asst Spedali Civili. Il fatto contestato è la morte, nel febbraio 2016, di una paziente di Legnago. La donna, Angiola Maestrello, 57 anni dinamica commerciante del paese, era finita sotto i ferri a Brescia per un’operazione di routine, ma morì a Padova 5 giorni dopo l’intervento. Nell’avviso di chiusura indagini firmato dal sostituto procuratore Ambrogio Cassiani e notificato in questi giorni al chirurgo universitario, viene contestato anche il reato di falso ideologico per la manomissione della cartella clinica della paziente.
I fatti risalgono ai primi mesi del 2016 quando Angiola Maestrello durante un controllo dal proprio cardiologo scoprì di avere un difetto del setto interatriale: la mancata chiusura cioè di una parte del cuore che separa l’atrio sinistro da quello destro. Non è una patologia grave ma potrebbe diventarlo in futuro. La donna si rivolse così al Civile di Brescia e alla clinica Cardiochirurgica diretta dal dottor Muneretto. Poco dopo venne decisa la data dell’operazione: l’8 febbraio. Quel giorno però le cose in sala operatoria precipitarono e la paziente venne sostenuta nelle funzioni vitali dall’Ecmo, l’apparecchiatura per la circolazione extracorporea indispensabile in caso di una grave insufficienza cardiaca o respiratoria. Le sue condizioni erano disperate e così Muneretto prese una decisione, quella di staccare la paziente dal macchinario e trasferirla al Centro Trapianti di Padova. Una procedura che secondo la Procura di Brescia avrebbe segnato il destino della signora Angiola. Per il pm Cassiani, infatti, il medico avrebbe operato questa scelta non per tutelare la vita della paziente ma solo per un calcolo personale. Secondo l’accusa: per non correre il rischio di fare morire la donna presso il proprio reparto, con conseguente perdita di credibilità e di pazienti futuri. Inoltre, per non fare brutta figura nel trasferirla al Centro trapianti di Padova senza prima aver tentato di staccare la paziente dalla macchina salvavita, avrebbe tentato di «svezzarla» (come si dice in termini tecnici) «ignorando volutamente - scrive il pubblico ministero Cassiani nell’atto di accusa - tutte le evidenze cliniche che rendevano la procedura in questione impraticabile» a causa della presenza di un edema polmonare e di una disfunzione bi-ventricolare di grado severo segnalatagli da un anestesista e da una ecografista dell’ospedale.
Muneretto quindi, secondo la procura,avrebbe accettato «il rischio di provocare il definitivo collasso delle funzioni vitali della paziente, così cagionando, o comunque, accelerando, il decesso della paziente dovuto a trombosi polmonare massiva». L’accusa di falsificazione della cartella clinica, invece, riguarda un’annotazione in cui il cardiochirurgo dichiarava di essere stato presente in sala operatoria dalle 13,46 alle 15,30 «mentre, invece, si trovava prima nel suo ufficio in ospedale e poi presso il dipartimento di Scienze Cliniche dell’Università». L’11 febbraio la paziente, in fin di vita, venne trasportata in ambulanza a Padova per valutare un possibile trapianto di cuore e durante il tragitto l’ultimo insulto: gli operatori sanitari che l’accompagnavano si scattarono alcune foto che finirono in una chat interna al reparto, con strascico di polemiche e provvedimenti disciplinari.
«Sono tutte accuse infamanti che non stanno né in cielo né in terra. Mi difenderò da queste falsità che sono solo il frutto di vendette architettate nei miei confronti da persone che lavorano all’interno dell’ospedale. Il mio primo obbiettivo quando mi alzo la mattina è fare il bene dei miei pazienti» si sfoga ora con il
Corriere il dottor Claudio Muneretto, pronto a dar battaglia.