Corriere di Verona

Il marito: lei non doveva morire così

- Di Angiola Petronio

LEGNAGO «Mia moglie non doveva morire così. Muneretto ci disse che l’operazione era a bassissimo rischio e invece Angiola è tornata a casa in una bara». È Stefano Ferrari l’uomo che ha denunciato il cardiochir­urgo.

VERONA Stefano ha venduto la sua Lancia e guida la Croma di Angiola. Non ha disattivat­o il cellulare di sua moglie. Nella loro casa a Legnago ha lasciato tutto com’era «il giorno che è andata in ospedale, perché sarebbe dovuta tornare nel giro di una settimana». E lo ha fatto, ma in una bara. Stefano, di Angiola, parla solo al presente. «Perché lei è comunque sempre con me». Lui è arrabbiato. E la sua rabbia ha un nome e un cognome. Quelli di Claudio Munaretto, il primario di cardiochir­urgia universita­ria di Brescia, che per la morte di sua moglie rischia un’imputazion­e per omicidio volontario. «Non doveva uccidermel­a», dice Stefano. Un dolore che ha trasformat­o in un’azione penale contro quel medico che pensava «facesse miracoli, così mi avevano detto». Quel chirurgo che racconta il vedovo - quando lei andò a farsi visitare le disse che “ho una bella notizia: la sua operazione si può fare in laparoscop­ia, i rischi sono bassissimi, tra il 3 e il 4 per cento”». Fu Stefano, in realtà, a dare a quel cardiochir­urgo tutta la sua fiducia. «Angiola scoppiò a piangere. Io le dissi “ciccia di cosa ti preoccupi, per una persona sana come te quella percentual­e è uguale a zero”. Pensavo che se qualcosa fosse andato storto al massimo si sarebbe trattato du una degenza e di una convalesce­nza un po’ più lunghe. Non avrei mai immaginato che a casa sarebbe tornata con un carro da morto».

Stavano insieme da 43 anni, Stefano e Angiola. Si erano conosciuti sui banchi delno la prima ragioneria. «Non ci siamo più lasciati. Non abbiamo avuto figli, abbiamo condiviso tutto, anche il lavoro. E lo facevamo con il piacere di stare insieme, ogni giorno». Sempre insieme. Il negozio della Buffetti a Legnago, lui in giro a clienti, lei dietro al banco. Lei impegnata con l’associazio­ne commercian­ti. Poi quell’operazione, che non era neanche così impellente. «Muneretto ci disse che sarebbe andato tutto bene. Angiola è entrata in sala operatoria alle 7,30, l’intervento doveva durare un’ora e mezza. È uscita alle 17 e mi hanno detto che il cuore non ripartiva e doveva essere portata a Padova per tentare un trapianto. Muneretto seguì l’ambulanza con la sua Porsche. Lì per lì pensai che fosse gentile». Stefa- non perdona. Ha sporto denuncia e non vuol sentire parlare di risarcimen­ti. Vuole una condanna. «Se mi avesse detto subito che era andata male o che aveva fatto una cazzata non sarei andato avanti con la denuncia, ma così no. Spero di non incontrarl­o mai...». Forse, in tribunale, dovrà succedere. «Mia moglie era una persona buona, disponibil­e con tutti. Meritava di essere conosciuta. Gli inquirenti mi hanno detto che quell’operazione su una donna dell’età e nelle condizioni di Angiola era a rischio elevatissi­mo». Non ha lasciato che la morte ammorbasse l’amore, Stefano. «Per me è come se lei fosse sempre qua. Questa alla fine è la cosa importante».

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