Chi sogna lo studio moderno chi rimpiange la mantellina «Ma indietro non si torna»
Tra «crumiri» e «osservanti» di Padova e Vicenza
La vecchietta, all’apparenza in buona salute, appoggia la bici, inforca gli occhiali e strabuzza gli occhi. Sulla placchetta i dottori Mistrorigo, Bianchi e Bove avvertono che ricevono dalle alle, dal lunedì al venerdì. Ma non oggi. Anzi, questo proprio non l’hanno scritto. La signora ci arriva dopo un po’, per deduzione: troppo muto il citofono, nessuna fila alle sua spalle. «Ah, sciopero» dice infine. Compatibilmente alla sua salute, dà una scrollatina alle spalle, rimonta in bici e se ne va. Siamo a Vicenza, all’incrocio tra via Borgo Scroffa e via Zambeccari, se la signora fosse stata più tenace, se solo avesse insistito, bastava girare l’angolo e avrebbe trovato soddisfazione. Altra placchetta, altri medici, qui il dottor Claudio Maron c’è, lui non sciopera, scioperano i colleghi di studio ma non lui: «Io eroe solitario vorrei rimanere anonimo come si addice agli eroi, quindi nessuna considerazione sindacale da parte mia, sono al posto di lavoro e preferisco starmene zitto». Mai stata tanto amata la categoria dei «crumiri» come in questi giorni, come ieri e anche oggi perché lo sciopero dei medici di base andrà avanti per altre ventiquattro ore e noi, influenzati, febbricitanti, allergici e bisognosi di cure, dovremo farcene una ragione, pazientare o andare all’ospedale.
Intanto va detto che è inevitabile simpatizzare con i crumiri. Lo sciopero invece è riuscito e noi mutuati, tutti adeguatamente sensibilizzati sulle ragioni che hanno spinto i medici a proclamarlo, dobbiamo farcene una ragione. In secondo luogo va detto che la linea di faglia che separa crumiri da scioperanti non è mai stata così spuria, difficile da fissare e personalmente detta-
ta dalle sensibilità tutta attraversata da una crisi generazionale che è anche cambio di passo culturale e adattamente forzoso ad un nuovo status professionale. I medici di base soffrono di crisi senile: il 49 per cento ha più di 60 anni, solo l’un per cento ha meno di 28 anni, nel 2023 dovranno andarsene in pensione in massa. In Veneto su 1600 la metà dovrà essere sostituita. Ivan Danchielli è uno di questi, lascerà la professione l’anno prossimo ed è uno che ieri non ha scioperato: «Sono un medico romantico di quelli che la tradizione consegna al calesse con la borsa a soffietto, solitario y final sotto la pioggia con la mantellina su una strada di campagna».
Ci ride e ci piange sopra Danchielli che non sta parlando solo per sé: con lui e come lui c’è tutta una generazione che s’è formata negli anni Sessanta quando in televisione davano il dottor Kildare e Alberto Lupo recitava in «La cittadella» di Anton Giulio Majano. «Io a diventare moderno ci ho provato, anzi è da sei anni che ci provo e con me tanti altri ci hanno provato. Ora però mi sono rotto e anche coloro che avrebbero voluto ed erano ben disposti non ci credono più». A che cosa si riferisce un professionista come il dottor Danchielli, ricco di esperienza e di umanità? Alla crescente burocratizzazione che ha stravolto un’etica e un’attitudine, ma soprattutto alle cosiddette Medicine di Gruppo (gli ambulatori dei medici consorziati) e agli Ospedali di Comunità, le due soluzioni proposte dalle autorità sanitarie regionali per rilanciare il servizio sanitario e renderlo più efficiente (e conveniente), le stesse medesime ragioni per cui oggi la categoria protesta e sciopera. Il sindacato dei medici accusa la Regione di dietrofront, le soluzioni di cui sopra restano in gran parte sulla
carta. «Da romantico dico che la gestione del paziente di gruppo soppianterà il vecchio modello intimo ed esclusivo. Forse deve essere così, al posto della faccia del medico troveremo quella di un poliambulatorio di medicina generale».
Siamo andati in alcuni di questo «poliambulatori» associati, vere e proprie aziende, con segretarie cortesi ed efficienti, corridoi che si aprono e stanze a destra e a sinistra per ognuna delle quali c’è un medico di base. Ce n’è uno a Vicenza in Viale Trieste, uno alla Guizza a Padova e un altro a Vigodarzere.
A Vicenza i medici ieri erano otto e tutti al lavoro, alla Guizza di Padova rispondeva solo una segretaria per gli appuntamenti a Vigodarzere c’era n’era uno in servizio sui nove previsti: tre reazioni diverse in tre situazioni sostanzialmente identiche, tutte ben realizzate
e di successo i cui medici non avrebbero molti motivi per protestare da momento che hanno già realizzato quello che altri chiedono inutilmente e rivendicano con lo sciopero.
Giuseppe Lobascio lo spiega così: «Qui a Vigodarzere abbiamo ottenuto ciò che volevamo e siamo un esempio ben riuscito di come può funzionare una Medicina di Gruppo. Se scioperiamo è per solidarietà con la categoria, tutti salvo uno. Poi, sa com’è: la verità è che Vicenza è meno sindacalizzata e Padova è una roccaforte, a volte si tratta solo di antipatie personali. Al netto delle beghe, io posso dire che qui riusciamo a pagare regolarmente segretarie e infermiere con il contributo della Regione, che i pazienti sono soddisfatti e persino chi temeva l’effetto «ospedale» ha dovuto ricredersi: il muro di gomma anafettivo fatto di impersonalità burocratica e segreterie digitali qui non c’è”.
«Non è stato facile e non era scontato – gli fa eco da Vicenza il dottor Mauro Loison della medicina di Gruppo di Vicenza – si trattava di metter su una azienda di medici, mettersi in discussione e lavorarci con percorsi, mezzi, tempistica e managerialità, roba non proprio da prontuario medico. Eppure noi ci siano riusciti. Non abbiamo tradito i pazienti, qui trovano il loro medico di base, solo con più assistenza e servizi. E gli stessi professionisti le diranno: «Io non torno più indietro». E non si tratta di giovanotti al primo impiego, ma medici di 60 anni, colleghi prossimi alla pensione che si sono messi in discussione, hanno fatto una scelta imprenditoriale e di missione».
L’effetto contraccolpo dello sciopero sui pronto soccorso degli ospedali non c’è stato, non ancora almeno e non ieri. Così dicono le direzioni sanitarie di Padova e Vicenza.