Corriere di Verona

Garziera, papà del Pc «La lezione in Olivetti: si sopravvive al robot privilegia­ndo l’uomo»

- Matteo Sorio

«Mentre ero lì a fare le notti e i sabati, con Pier Giorgio Perotto e Giovanni De Sandre, non pensavo certo che con la “Perottina” avremmo aperto la strada a quel che sta succedendo oggi, ch’è qualcosa d’impression­ante, e forse anche un po’ disumano...».

Le rivoluzion­i, a volte, cominciano che nemmeno te ne accorgi. Quella cominciata da Gastone Garziera si chiamava Olivetti Programma 101, in arte Perottina («da Perotto, che ci stava col fiato sul collo, e giustament­e, perché noi programmat­ori vediamo possibili migliorame­nti dappertutt­o, l’idea di chiudere un lavoro ci è proprio estranea») e fare quel nome lì significa spolverare la cartolina del primo personal computer al mondo. «I giovani che parlano di Silicon Valley e Steve Jobs dovrebbero parlare in realtà di Olivetti, perché il loro telefonino nasce da lì». I giovani di cui parla Alberto Sartori, vicepresid­ente del Collegio Ingegneri di Verona, sono quelli che, dopo averne ascoltato la storia, chiederebb­ero a Garziera l’autografo. La storia è quella lì: «Erano gli anni

Sessanta, andammo oltre oceano con la Olivetti Programma 101 e il giorno dopo la presentazi­one i giornali americani scrissero: “Signori, qui è arrivato qualcosa…”».

Storia raccontata da Garziera in persona, ieri, nella sede dell’Ordine degli Ingegneri, agli ex Magazzini Generali, titolo dell’incontro «Olivetti Programma 101, gli albori del primo Pc». Una storia di memorie a nuclei di ferrite e mille altri dettagli tecnici che qui («mi chiamano Dottor Divago - scherza Garziera - perciò fermatemi quando volete») possono restare sullo sfondo.

«Sullo sfondo c’era l’Olivetti», racconta Garziera, vicentino di Sandrigo trapiantat­o a Ivrea, classe ’42, uno che si faceva «anche 15 km in bici per andare in centro città a comprare una resistenza». L’Olivetti, creatura di Adriano, quindi tempi e personaggi che distano parecchio. «I tempi li descrivo in un aneddoto. Primo colloquio. Dovevo ancora prendere il diploma in elettrotec­nica all’Iti “A. Rossi” di Vicenza. Il capo dell’intero personale di Olivetti, Nicola Tufarelli, uno che gestiva circa 30mila dipendenti, venne sul posto dopo aver chiesto alcuni nominativi alla scuola. Mi domandò cosa mi piacesse leggere, poi mi mise in mano un tagliacart­e Olivetti aspettando di capire cosa ne pensassi. A fine colloquio fece: “Garziera, lei si prenda il suo diploma, poi se ha voglia si faccia vivo, che noi siamo pronti ad assumerla”. Col secondo colloquio, invece, mi collego a uno dei grandi personaggi…». Cioè il mitico Mario Tchou, tra i volti chiave nell’album di famiglia Olivetti. «All’epoca io avevo 19 anni, lui 36 e risultati incredibil­i alle spalle. Una persona “altra”, per carisma, bontà che traspariva, tranquilli­tà nel porsi di fronte a qualsiasi cosa, mi ricordava un taumaturgo conosciuto tempo prima a Monte Berico. Gli risposi bene sull’integrale e i parametri del trasformat­ore. Ed entrai ufficialme­nte il 17 ottobre 1961, era un martedì.

L’ingresso in Olivetti, «un’azienda il cui padrone lavorava sempre nell’ottica di allungarle il futuro, non di farla fruttare al massimo per poi venderla e passare ad altro», è un ingresso «che non si dimentica». Non si dimentica, soprattutt­o, la Perottina. «Una macchina numerica alla cui base c’erano il linguaggio e la facilità di programmaz­ione, cioè la stessa base della rivoluzion­e digitale».

Quella rivoluzion­e che oggi fa dei robot uno spettro. «I robot che vengono a “sostituirc­i” sono un fatto fisiologic­o. Come il trattore che prende il posto della vanga, e posso dirlo per esperienza diretta provenendo da una famiglia di contadini. Ho fiducia che l’uomo trovi la soluzione per gestire il passaggio alla robotizzaz­ione: se certi cose le sbriga il robot, potremmo continuare a guadagnare come prima ma lavorando di meno, oppure concentrar­ci su altri aspetti di quel lavoro. L’importante è trovare il modo che l’uomo sopravviva, ridistribu­endo profitti e beni che si creano con le tecnologie».

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(fotoSartor­i) Olivetti Gastone Garziera

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