LA CRESCITA E LE PAURE: CHE FARE
Idati segnalano che l’export tira e il Pil riprende a correre. Tra i cittadini veneti, tuttavia, resta diffusa la preoccupazione della mancanza di lavoro e per l’accoglienza dei profughi, due degli aspetti emersi nel sondaggio «Lan» pubblicato domenica dal Corriere del Veneto assieme alla percezione che a dispetto dei dati legati alla crescita vi sia ancora un’emergenza da crisi. Il fatto è che il Veneto, come il resto d’Italia, esporta persone qualificate (12mila in un solo anno) e ne importa altre per lo più con basso livello d’istruzione e qualifica. I cervelli educati nelle palestre mentali delle nostre università e centri di ricerca sono in fuga, non in mobilità temporanea. E per quanto riguarda gli ingressi degli emigrati, per trarne benefici sociali ed economici dovremmo sviluppare una cultura imprenditoriale e del lavoro più inclusiva e meritocratica. Il che comporterebbe, tra l’altro, riforme rivoluzionarie, non conservatrici, dell’istruzione e della formazione. Se i flussi delle risorse umane in entrata e uscita sono tuttora fonti di problemi più che di opportunità, cosa dire degli scambi commerciali? Sul campo dell’export contiamo su imprese che sanno correre e andare a meta. Le regole del gioco, però, stanno profondamente cambiando. Sempre meno i flussi commerciali sono dominati dai prodotti finiti del «Made in», mentre acquistano un valore crescente i beni strumentali intermedi che sono anelli di catene organizzate dalle imprese integrate globalmente.
Affinché i nostri giocatori possano continuare ad andare in meta, è dunque necessario che siano dotati di quell’energia loro fornita dagli investimenti delle multinazionali le cui operazioni produttive e commerciali attraversano i confini nazionali. È con queste che sono chiamate a interagire e integrarsi le multinazionali tascabili di casa nostra. Ciò vuol dire che a fare la differenza tra l’ascesa e il declino dell’imprenditoria veneta, tra la circolazione e la fuga dei cervelli, tra il lavoro qualificato e la disoccupazione delle risorse umane, intervengono i flussi di investimenti produttivi di provenienza estera. È a loro seguito che arrivano conoscenza innovativa, know-how, tecnologie e apertura di nuove frontiere imprenditoriali e commerciali. Comunità d’innovazione tecnologica com’è il caso di Unismart dell’Università di Padova molto possano fare per attrarre investimenti internazionali delle imprese globali ad alta intensità di conoscenza. Di più, il connubio tra comunità del tipo Unismart e le loro consorelle che di quelle imprese sono il cervello pensante rappresenterebbe la linfa vitale a nutrimento dei flussi di persone e di beni. È maturo il tempo per rintracciare la nostra «Strada di Swann» che, a differenza della trama di Proust, ci spinge felicemente nelle braccia di un’amante – l’innovazione aperta alla circolazione di persone, merci, investimenti e conoscenza. Percorrerla significa liberare la mente dalle credenze profonde e circoscritte maturate con l’esperienza, e dall’arroganza del successo raggiunto che spinge a progettare il domani con il pensiero di ieri.