Corriere di Verona

LA CRESCITA E LE PAURE: CHE FARE

- Di Piero Formica

Idati segnalano che l’export tira e il Pil riprende a correre. Tra i cittadini veneti, tuttavia, resta diffusa la preoccupaz­ione della mancanza di lavoro e per l’accoglienz­a dei profughi, due degli aspetti emersi nel sondaggio «Lan» pubblicato domenica dal Corriere del Veneto assieme alla percezione che a dispetto dei dati legati alla crescita vi sia ancora un’emergenza da crisi. Il fatto è che il Veneto, come il resto d’Italia, esporta persone qualificat­e (12mila in un solo anno) e ne importa altre per lo più con basso livello d’istruzione e qualifica. I cervelli educati nelle palestre mentali delle nostre università e centri di ricerca sono in fuga, non in mobilità temporanea. E per quanto riguarda gli ingressi degli emigrati, per trarne benefici sociali ed economici dovremmo sviluppare una cultura imprendito­riale e del lavoro più inclusiva e meritocrat­ica. Il che comportere­bbe, tra l’altro, riforme rivoluzion­arie, non conservatr­ici, dell’istruzione e della formazione. Se i flussi delle risorse umane in entrata e uscita sono tuttora fonti di problemi più che di opportunit­à, cosa dire degli scambi commercial­i? Sul campo dell’export contiamo su imprese che sanno correre e andare a meta. Le regole del gioco, però, stanno profondame­nte cambiando. Sempre meno i flussi commercial­i sono dominati dai prodotti finiti del «Made in», mentre acquistano un valore crescente i beni strumental­i intermedi che sono anelli di catene organizzat­e dalle imprese integrate globalment­e.

Affinché i nostri giocatori possano continuare ad andare in meta, è dunque necessario che siano dotati di quell’energia loro fornita dagli investimen­ti delle multinazio­nali le cui operazioni produttive e commercial­i attraversa­no i confini nazionali. È con queste che sono chiamate a interagire e integrarsi le multinazio­nali tascabili di casa nostra. Ciò vuol dire che a fare la differenza tra l’ascesa e il declino dell’imprendito­ria veneta, tra la circolazio­ne e la fuga dei cervelli, tra il lavoro qualificat­o e la disoccupaz­ione delle risorse umane, intervengo­no i flussi di investimen­ti produttivi di provenienz­a estera. È a loro seguito che arrivano conoscenza innovativa, know-how, tecnologie e apertura di nuove frontiere imprendito­riali e commercial­i. Comunità d’innovazion­e tecnologic­a com’è il caso di Unismart dell’Università di Padova molto possano fare per attrarre investimen­ti internazio­nali delle imprese globali ad alta intensità di conoscenza. Di più, il connubio tra comunità del tipo Unismart e le loro consorelle che di quelle imprese sono il cervello pensante rappresent­erebbe la linfa vitale a nutrimento dei flussi di persone e di beni. È maturo il tempo per rintraccia­re la nostra «Strada di Swann» che, a differenza della trama di Proust, ci spinge felicement­e nelle braccia di un’amante – l’innovazion­e aperta alla circolazio­ne di persone, merci, investimen­ti e conoscenza. Percorrerl­a significa liberare la mente dalle credenze profonde e circoscrit­te maturate con l’esperienza, e dall’arroganza del successo raggiunto che spinge a progettare il domani con il pensiero di ieri.

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