Il nodo Venezia
Un obiettivo che l’ultimo Comitatone, ancora una volta non presieduto dal presidente del consiglio, partecipato distrattamente solo da alcuni ministri, non più assistito dalla segreteria un tempo operante presso la presidenza del consiglio e il magistrato alle acque, ha avuto difficoltà a inquadrare ancor prima che perseguire. Difficoltà che nascono tutte dalla mancata presa d’atto che il pendolo delle urgenze si è oggi spostato dalla salvaguardia dell’urbs alla rivitalizzazione della civitas. Oggi il MoSE e le altre difese dal mare –nonostante la tragedia giudiziaria e la crisi amministrativa - sono quasi approntate, la laguna è sostanzialmente disinquinata, il patrimonio edilizio di Venezia è stato restaurato, il disinquinamento dei suoli di Marghera in corso. Oggi l’urgenza è economica e sociale. La vecchia Marghera è scomparsa e in Venezia storica, ma tra un po’ anche a Mestre, ogni altra attività ha lasciato il passo al turismo. Attività ricca e vitale questa, ma che ha in sé i germi di distruzione della civitas, lagunare e di terraferma, condannata «allo sfruttamento pitocco del genio dei padri e della curiosità dei forestieri». Un Comitatone conscio dei propri compiti sarebbe dovuto partire da qui. Avrebbe dovuto farlo chiedendosi se quanto sta accadendo oggi a Venezia risponde all’obiettivo di «assicurarne la vitalità socioeconomica nel quadro dello sviluppo generale e dello assetto territoriale del Veneto». Se sì, incoraggiandolo, se no, contrastandolo. Riconoscendo che, volendolo incoraggiare, basta lasciare che le dinamiche in atto continuino. Al contrario, volendolo contrastare occorre affrontare lo sforzo immane di rimettere in moto meccanismi di sviluppo alternativo. E qui la partita principale si gioca di nuovo a Porto Marghera, ripetendo in chiave moderna il miracolo di 100 anni fa. Facendo nascere dalle ceneri del vecchio polo industriale un nuovo blocco portuale, manifatturiero e logistico, preparato alla transizione digitale. Subordinando a questo ogni altro progetto, compreso quello dello sviluppo crocieristico, e creandone subito tutte le condizioni. Che riguardano la necessità urgente di rendere il porto di Venezia accessibile alle navi e ai traffici di domani, anche per massimizzare la convenienza alla nuova localizzazione portocentrica di manifattura e logistica. Poi, solo poi, negli ampi spazi che comunque resteranno disponibili si potranno collocare, anche funzioni meno strategiche, come quella dei traffici crocieristici. La posta in gioco è il mantenimento dell’«integrità culturale» del bene culturale Venezia e, paradossalmente, lo sviluppo dell’intero Veneto. Purtroppo il Comitatone del 7 novembre scorso, spaesato, ha parlato d’altro.