‘Ndrangheta, sequestro di beni per 1,5 milioni
Arcole, operazione della Dia contro l’imprenditore Cappa, già condannato nell’inchiesta Aemilia
La Corte d’Appello di Bologna, a settembre lo aveva condannato a nove anni e quattro mesi nell’ambito della maxi inchiesta Aemilia sulle infiltrazioni della ‘Ndrangheta calabrese al Nord Italia.
E a distanza di pochi mesi, la Direzione Investigativa Antimafia del capoluogo emiliano ha inferto un altro duro colpo a Salvatore Cappa, imprenditore edile originario di Cutro ma stabilitosi da tempo nel Veronese, dopo aver vissuto e fatto affari anche a Reggio Emilia.
Ieri infatti, gli uomini della Dia hanno eseguito un decreto di sequestro di beni emesso dal Tribunale di Reggio Emilia su proposta del Direttore della Dia nei confronti di Cappa, condannato in secondo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso, reimpiego di beni di provenienza illecita ed estorsione.
Gli investigatori dell’antimafia, infatti, dopo l’arresto hanno continuato a puntare i fari sulle attività e sul patrimonio dell’imprenditore ritenuto esponente di spicco del clan Grande Aracri.
E hanno portato alla luce una netta sproporzione «non giustificata» tra i redditi dichiarati da Cappa rispetto al patrimonio a lui direttamente riconducibile.
Così, sono scattati i sigilli su beni per un totale di oltre un milione e mezzo di euro, tra i quali immobili, conti bancari e veicoli.
Gli uomini della Dia sono stati anche ad Arcole dove hanno sequestrato una villetta e un’ampia autorimessa di Cappa (a Reggio Emilia sono finiti sotto sigillo un’abitazione e un’autorimessa). Beni che, nelle intenzioni della Dia, sono stati sequestrati con la finalità poi di venire confiscati. Le indagini hanno consentito di svelare il meccanismo utilizzato da Cappa (attualmente detenuto) per evitare di rendere aggredibile il suo patrimonio: l’imprenditore di origine calabrese, infatti, aveva intestato alcuni immobili a tale Celestino Sassi, dichiarato nato in Francia ma residente a Campomarino, in provincia di Campobasso.
Peccato che, nel corso delle verifiche svolte anche con l’ausilio delle autorità francesi, è emerso che Sassi non esisteva. Si trattava di un’identità fittizia, un prestanome creato ad hoc, proprio per ingannare fisco e investigatori.
Un velo di Maya squarciato grazie al lavoro prezioso e instancabile delle forze dell’ordine.