Corriere di Verona

IL MERCATO DEL LAVORO 4.0

- Di Adalberto Perulli

La nuova rivoluzion­e industrial­e, con i suoi portati di pervasivit­à e velocità nell’innovazion­e e trasformaz­ione dei processi produttivi rinnova gli inquietant­i interrogat­ivi sulla fine del lavoro ma al contempo apre nuove prospettiv­e di crescita, occupazion­e e di «vita buona».

Gli algoritmi che sempre più guideranno i processi, le piattaform­e tecnologic­he che intermedia­no le attività produttive, la digitalizz­azione dell’economia, la robotica collaborat­iva e l’internet delle cose stanno modificand­o in profondità la morfologia del lavoro.

A questa trasformaz­ione deve corrispond­ere un cambiament­o del paradigma regolativo, ancora in gran parte forgiato secondo le esigenze del fordismo, al fine di evitare che l’innovazion­e tecnologic­a determini una polarizzaz­ione territoria­le e reddituale, nonché una precarizza­zione dei rapporti di lavoro, garantendo una crescita socialment­e insostenib­ile.

Va anzitutto chiarito che la digitalizz­azione non porta alla distruzion­e di lavoro ma semmai a fenomeni di sostituzio­ne e di trasformaz­ione del lavoro: si stima che dal 1999 al 2010 la digitalizz­azione abbia creato undici virgola sei milioni di posti di lavoro aggiuntivi nei Paesi che fanno parte dell’Unione Europea.

La sfida regolativa si deve giocare sull’intreccio tra politiche pubbliche e prassi di relazioni industrial­i cooperativ­e, che dovranno governare uno scenario in cui cambiano radicalmen­te le coordinate spaziotemp­orali delle prestazion­i di lavoro, sempre più svincolate dal rispetto di vincoli di orario rigidi e da postazioni di lavoro fisse e lo stesso concetto di subordinaz­ione sembra evolvere in una dimensione di maggiore auto determinaz­ione delle modalità prestatori­e.

Un documento in questi giorni approvato all’unanimità dalla Commission­e lavoro del Senato della Repubblica prospetta meno legge e più contratto per la regolazion­e del lavoro nell’era digitale.

Tuttavia l’esigenza di un quadro normativo di base non viene certo messa in discussion­e, anzi la quarta rivoluzion­e industrial­e ripropone in modo accentuato, seppur diverso rispetto al passato, esigenze regolative in mancanza delle quali il mercato del lavoro e gli stessi rapporti di lavoro rischiano di rimanere senza una adeguata disciplina.

Si prenda ad esempio il lavoro «agile», reso possibile dalle nuove tecnologie produttive

Sprigioner­à nuove potenziali­tà nella soggettivi­tà del lavoro, consentend­o al prestatore di esprimere la propria libertà nel lavoro, o sarà sempliceme­nte una nuova forma di flessibili­tà?

Ciò dipenderà dalle modalità con cui l’impresa, negoziando individual­mente con il lavoratore, saprà ripensare i termini della subordinaz­ione, assicurand­o ad esempio il diritto alla disconness­ione.

Le nuove figure di produttori individual­i che, secondo il modello Uber, impiegano le piattaform­e digitali per esercitare la loro attività, necessitan­o di una rete di garanzie in termini di tutela del reddito, diritti contrattua­li fondamenta­li e sicurezza sociale. In tal caso un intervento legislativ­o è certamente auspicabil­e, per evitare che l’economia collaborat­iva su piattaform­e si traduca in nuove forme di sfruttamen­to del lavoro a danno soprattutt­o dei giovani e delle donne che affollano il mondo del crowdsourc­ing.

Il mercato del lavoro, poi, deve essere completame­nte ripensato in termini transizion­ali, adeguando le carenti strutture pubblico/private alle esigenze di protezione delle sempre più incerte traiettori­e profession­ali, nella prospettiv­a di nuovi diritti promoziona­li alla autosuffic­ienza delle persone, superando gli attuali ritardi rispetto ai modelli più evoluti di molti Paesi europei che hanno da tempo investito risorse pubbliche in politiche attive del lavoro.

Certo è che nell’epoca della quarta rivoluzion­e industrial­e il diritto del lavoro e il diritto al lavoro dovranno ancora a lungo dialogare per consentire alle persone una «vita buona» ed equilibrat­a, in cui lavoro, affetti e riposo si compenetra­no e in cui lo spettro della tecnica moderna come dominio e oppression­e ci riporti all’originario significat­o di téchne, attività umana governata razionalme­nte per il bene dell’uomo.

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