IL MERCATO DEL LAVORO 4.0
La nuova rivoluzione industriale, con i suoi portati di pervasività e velocità nell’innovazione e trasformazione dei processi produttivi rinnova gli inquietanti interrogativi sulla fine del lavoro ma al contempo apre nuove prospettive di crescita, occupazione e di «vita buona».
Gli algoritmi che sempre più guideranno i processi, le piattaforme tecnologiche che intermediano le attività produttive, la digitalizzazione dell’economia, la robotica collaborativa e l’internet delle cose stanno modificando in profondità la morfologia del lavoro.
A questa trasformazione deve corrispondere un cambiamento del paradigma regolativo, ancora in gran parte forgiato secondo le esigenze del fordismo, al fine di evitare che l’innovazione tecnologica determini una polarizzazione territoriale e reddituale, nonché una precarizzazione dei rapporti di lavoro, garantendo una crescita socialmente insostenibile.
Va anzitutto chiarito che la digitalizzazione non porta alla distruzione di lavoro ma semmai a fenomeni di sostituzione e di trasformazione del lavoro: si stima che dal 1999 al 2010 la digitalizzazione abbia creato undici virgola sei milioni di posti di lavoro aggiuntivi nei Paesi che fanno parte dell’Unione Europea.
La sfida regolativa si deve giocare sull’intreccio tra politiche pubbliche e prassi di relazioni industriali cooperative, che dovranno governare uno scenario in cui cambiano radicalmente le coordinate spaziotemporali delle prestazioni di lavoro, sempre più svincolate dal rispetto di vincoli di orario rigidi e da postazioni di lavoro fisse e lo stesso concetto di subordinazione sembra evolvere in una dimensione di maggiore auto determinazione delle modalità prestatorie.
Un documento in questi giorni approvato all’unanimità dalla Commissione lavoro del Senato della Repubblica prospetta meno legge e più contratto per la regolazione del lavoro nell’era digitale.
Tuttavia l’esigenza di un quadro normativo di base non viene certo messa in discussione, anzi la quarta rivoluzione industriale ripropone in modo accentuato, seppur diverso rispetto al passato, esigenze regolative in mancanza delle quali il mercato del lavoro e gli stessi rapporti di lavoro rischiano di rimanere senza una adeguata disciplina.
Si prenda ad esempio il lavoro «agile», reso possibile dalle nuove tecnologie produttive
Sprigionerà nuove potenzialità nella soggettività del lavoro, consentendo al prestatore di esprimere la propria libertà nel lavoro, o sarà semplicemente una nuova forma di flessibilità?
Ciò dipenderà dalle modalità con cui l’impresa, negoziando individualmente con il lavoratore, saprà ripensare i termini della subordinazione, assicurando ad esempio il diritto alla disconnessione.
Le nuove figure di produttori individuali che, secondo il modello Uber, impiegano le piattaforme digitali per esercitare la loro attività, necessitano di una rete di garanzie in termini di tutela del reddito, diritti contrattuali fondamentali e sicurezza sociale. In tal caso un intervento legislativo è certamente auspicabile, per evitare che l’economia collaborativa su piattaforme si traduca in nuove forme di sfruttamento del lavoro a danno soprattutto dei giovani e delle donne che affollano il mondo del crowdsourcing.
Il mercato del lavoro, poi, deve essere completamente ripensato in termini transizionali, adeguando le carenti strutture pubblico/private alle esigenze di protezione delle sempre più incerte traiettorie professionali, nella prospettiva di nuovi diritti promozionali alla autosufficienza delle persone, superando gli attuali ritardi rispetto ai modelli più evoluti di molti Paesi europei che hanno da tempo investito risorse pubbliche in politiche attive del lavoro.
Certo è che nell’epoca della quarta rivoluzione industriale il diritto del lavoro e il diritto al lavoro dovranno ancora a lungo dialogare per consentire alle persone una «vita buona» ed equilibrata, in cui lavoro, affetti e riposo si compenetrano e in cui lo spettro della tecnica moderna come dominio e oppressione ci riporti all’originario significato di téchne, attività umana governata razionalmente per il bene dell’uomo.