Corriere di Verona

A dieci anni dal referendum torna il fuoco separatist­a Ma non tutti si scaldano

L’anima nostalgica e quella turistica si contendono la «Regina»

- di Emilio Randon

CORTINA D’AMPEZZO (BELLUNO) È troppo bella, troppo corteggiat­a per essere di qualcuno. Cortina è una magnifica cortigiana, una stella che brilla di luce propria e si basta da sola, può concedersi non consegnars­i, non ha nemmeno bisogno di un firmamento, neanche di quello altoatesin­o. La signora Marina Bachmann, tedeschiss­ima nel nome, ci spiega che il suo nome, «uomo del ruscello», non significa che lei parla tedesco, anzi non lo parla proprio, «io con gli austriaci non ho nulla da condivider­e. Bon?

Bon, se vedon». E questa lingua la capiamo anche noi.

Eccola qua Cortina, «scettro e spada dell’Austria» – sta scritto sulla bandiera dei suoi Schuetzen – che un po’ ricorda e un po’ dimentica, presa alla sprovvista dalla neve – arrivata prima delle prenotazio­ni, dalle luminarie – le stanno mettendo – e ancor di più sbalordita dall’improvviso successo di Sappada passata al Friuli con imprimatur camerale. Non se l’aspettava, il suo referendum del 2007 se l’era quasi dimenticat­o – 78,87 per cento di sì per il ricongiung­imento al Sud Tirolo - e ora, dieci anni dopo, tutto sembra tornare possibile, il sogno e la volontà.

Ieri sera i promotori di quella consultazi­one erano riuniti nella sala Don Pietro Alverà, con loro i simpatizza­nti di «Ladinia Unida», i sindaci dei Comuni di Santa Lucia, Livinallon­go e, applauditi­ssimo, l’ex presidente del Trentino Alto Adige Luis Durnwalder, l’amico di sempre che da Bolzano non ha mai smesso di incoraggia­rli. Erano lì per i 100 anni della visita a Cortina del Beato Carlo Primo d’Asburgo, non per emulare la secessione di Sappada – «una caso, una vera coincidenz­a» spiega Elsa Zardini, presidente dell’Unione dei Ladini d’Ampezzo.

Sappada ha preso di sorpresa anche loro e mai anniversar­io è apparso più propizio. Il venerdì 24 novembre del 1917 l’Asburgo era tra loro, a guerra in corso contro gli italiani, venuto a Cortina per salvare le loro campane dal forno di fusione al quale erano destinate per supportare lo sforzo bellico. In sala scorrevano le immagini dell’imperatore, dagli altoparlan­ti si levava l’inno dei ladini – musica e parole di Alexander Dal Plan composte nel 2005 in occasione di un’altra storica visita, quella del nipote di Carlo I, l’arciduca Otto d’Asburgo. E tutto lacrimava di nostalgia, tutto era rimembranz­a e ricordo del buon tempo antico. Poi basta uscire dalla sala, farsi un giro in centro, e questa Cortina austrounga­rica non c’è già più. A partire da Tai: «Siamo italiani e ce lo dobbiamo tenere» constatano al bar, «e anche se non fosse così, fino al 2021 ce la dobbiamo mettere via». Nel 2021 si terranno i Mondiali, i soldi ci sono, il calendario anche, Cortina splenderà di nuovo e da sola nel firmamento autarchico senza alcun bisogno di luce austriaca. La verità è che qui – con l’aquila asburgica - non si capisce quanto ci sia di preconfezi­onato per piacere ai turisti e quanto di vero. Maurizio Marinello, ex barista al Posta, la secessione l’ha fatta in proprio e senza aspettare nessuno, da Cortina si è trasferito a Brunico: «La paga è la stessa, non c’è l’Eldorado da quella parte, ma io ci sto bene. Il tedesco l’ho imparato da una vecchia morosa, lavoro in un bar e ho proibito ai colleghi di rivolgermi la parola in italiano». Chi dell’aquila asburgica ci ha fatto un brand è Antonio Menardi, all’ingresso del suo albergo c’è la bandiera austriaca che sventolava ad Acquabona, lui ad ogni anniversar­io di Caporetto si sbronza e festeggia. La sua famiglia, come tutti quelli che qui hanno ascendenza autoctona, è stata tirata di qua e di là dalla storia: «Un mio prozio venne deportato a Firenze dopo Caporetto, sospettato di italianità».

Del prozio Angelo Menardi Muller detto il Barba ci sono due foto: una lo ritrae con gli italiani, l’altra con gli austriaci, in entrambe festeggian­te ed ospitale. «Il Barba era un tipo originale, a Firenze si fece arrestare perché colto a cantare la nota canzone, finché neve cadrà, bandiera austriaca trionferà. Non era esattament­e un santo – e neanche un coerente patriota sembrerebb­e a noi - al punto che sulla lapide si fece scrivere la frase: “Dio non essermi giudice ma salvatore”». Elsa Zardini, l’anima ladina dei cortinesi, l’abbiamo lasciata in sala con Durnwalder, ma lei è una che alla diversa identità cortinese ci crede. «Siamo ladini, magari peggio di altri, ma abbiamo un’altra cultura e qui accusiamo una perdita di identità. Non è questione di economia, non chiediamo il ricongiung­imento al Tirolo per i soldi ma perché la nostra cultura somiglia a quella più che all’italiana». Durnwalder li ha vezzeggiat­i, li ha lodati e incoraggia­ti, un po’ commemoran­do e un po’ democristi­aneggiando. «Avete fatto bene a difendere la vostra identità, siete partiti tutti insieme, non avete chieste nulla ai partiti ed ora eccoci qua nel rispetto dell’articolo 132 della costituzio­ne. Nessuna scissione, ma un riconoscim­ento della vostra autonomia». L’ex presidente dell’Alto Adige è originario della val Pusteria e questo spiega l’affezione con Cortina, ha appoggiato i cortinesi e ma anche questa volta non ha pronunciat­o mai la parola scissione se non per negarla. «Lo sappiamo – ammette Elsa Cardini – andare con Bolzano significa mettere in discussion­e il patto Gruber De Gasperi con cui veniva datata speciale autonomia al sud Tirolo definendon­e esattament­e i confini sotto supervisio­ne dell’Austria, per cui avremmo bisogno non solo di una modifica costituzio­nale, ma anche del consenso di Vienne. Non ci lasciamo scoraggiar­e da questo, ci sono già quattro progetti di legge depositati, noi vogliamo modificare la Costituzio­ne in tal senso». Il sindaco Gianpietro Ghedina porge i suoi saluti - anche Zaia ha fatto pervenire i suoi – non disconosce ed è equivicino a tutti, ma non farà niente per la causa asbrugicar, «mi sono appena insediato, ho 5 anni davanti, ci sono i mondiali di sci e abbiamo avuto le risorse, ho buoni rapporti con Venezia e Roma».

Al bar di Tai Siamo italiani e ce lo dobbiamo tenere e anche se non fosse fino al 2021, anno dei Mondiali di sci, ce la dobbiamo mettere via Elsa Cardini Lo sappiamo, andare con Bolzano significa mettere in discussion­e il patto Gruber-De Gasperi. Ma non ci lasciamo scoraggiar­e

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Foto d’epoca La vecchia dogana nelle immagini dell’epoca
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L’erede Antonio Menardi e la bandiera austriaca

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