IL DOPPIO ERRORE DI SALVO
Non tutte le ciambelle nascono col buco. È un vecchio e saggio proverbio che si utilizza per dire che non sempre le cose vanno come ci si immagina. Così è stato anche per la famiglia Riina, leader incontrastata della mafia siciliana, Cosa nostra, da diversi decenni. Al pari di alcuni imprenditori, con le dovute differenze, anche la stirpe di «zu Totò» deve fare i conti con un’amara realtà: prendere atto che i figli non sono in grado di portare avanti l’azienda criminale di famiglia, di continuare ad esercitare un potere conquistato a suon di omicidi e di stragi. Un potere che ha pesantemente influenzato la storia e la sicurezza del nostro Paese.
Giuseppe Salvatore, l’unico figlio maschio in libertà, seppur vigilata, non si è dimostrato all’altezza delle aspettative. Nella relazione stilata dagli organismi delle forze di polizia che lo pedinavano e lo controllavano da tempo, segno concreto della presenza di uno Stato vigile e attento, si legge che il figlio di Totò Riina aveva frequentazioni assidue con pusher tunisini che lo rifornivano di cocaina e che, quasi quotidianamente, pur sapendo di essere controllato, violava sistematicamente il divieto di restare nella propria abitazione dalle 22 in poi.
Incontrando anche una serie di pregiudicati siciliani che, probabilmente, vedevano in lui un punto di riferimento.
Al pari di qualsiasi mafioso, anche Giuseppe Salvatore Riina non può riconoscersi nello stato di diritto, uno stato che, ascoltando le intercettazioni telefoniche, lui definisce «persecutore». Ma, a differenza dei veri boss che spesso sono detenuti modello, amanti della riservatezza e della discrezione, alla ricerca dell’impunità mediante trattative con pezzi delle istituzioni e della politica, il giovane rampollo corleonese ha esibito tutta la sua personale strafottenza, pensando di essere un intoccabile per il nome che portava. Non è stato così e molto opportunamente il giudice ha sentenziato di ricondurre dentro le patrie galere questo signore che, recentemente, aveva cercato di presentarsi all’opinione pubblica come una persona diversa da quello che si immaginava, avendo scritto un libro, pubblicato da una casa editrice veneta, ed andando a presentarlo in uno dei più seguiti talk show italiani. Fatto, quest’ultimo, che gli aveva permesso di ricevere tantissimi mi piace e commenti positivi sulla sua pagina Facebook. Non dobbiamo mai dimenticarci che lo Stato di diritto, fondato sulla forza della legge, è più forte dello stato mafioso, basato sulla legge della forza. In base alle previsioni della nostra Costituzione e del nostro ordinamento, a Riina jr è stata offerta una possibilità di riscatto e di cambiamento che egli ha sprecato e, forse, non ha mai preso seriamente in considerazione. Ora per lui i problemi si sono moltiplicati, sia sul versante personale che su quello criminale.
A causa dei suoi comportamenti, infatti, Riina non solo ha perso la possibilità di riscattarsi socialmente, di lavorare e di vivere una vita diversa da quella di un carcerato ma, con la morte del padre, che era uno scudo protettivo, e l’essersi dimostrato una persona non credibile né affidabile dal punto di vista delinquenziale, Riina jr è ormai fuori gioco dalla cerchia dei boss che possono far parte e, addirittura, presiedere la cosiddetta «cupola», ossia l’organo dirigente di Cosa nostra che da tempo si sta cercando di ricostruire a Palermo. Questa vicenda ci deve rammentare che i mafiosi, al pari di tutti noi, sono delle persone umane, niente affatto invincibili. Per questo, dobbiamo rammentare quanto diceva Giovanni Falcone: «La mafia è un fenomeno umano che ha avuto un inizio, uno sviluppo e avrà anche una fine».