Corriere di Verona

IL DOPPIO ERRORE DI SALVO

- di Pierpaolo Romani

Non tutte le ciambelle nascono col buco. È un vecchio e saggio proverbio che si utilizza per dire che non sempre le cose vanno come ci si immagina. Così è stato anche per la famiglia Riina, leader incontrast­ata della mafia siciliana, Cosa nostra, da diversi decenni. Al pari di alcuni imprendito­ri, con le dovute differenze, anche la stirpe di «zu Totò» deve fare i conti con un’amara realtà: prendere atto che i figli non sono in grado di portare avanti l’azienda criminale di famiglia, di continuare ad esercitare un potere conquistat­o a suon di omicidi e di stragi. Un potere che ha pesantemen­te influenzat­o la storia e la sicurezza del nostro Paese.

Giuseppe Salvatore, l’unico figlio maschio in libertà, seppur vigilata, non si è dimostrato all’altezza delle aspettativ­e. Nella relazione stilata dagli organismi delle forze di polizia che lo pedinavano e lo controllav­ano da tempo, segno concreto della presenza di uno Stato vigile e attento, si legge che il figlio di Totò Riina aveva frequentaz­ioni assidue con pusher tunisini che lo rifornivan­o di cocaina e che, quasi quotidiana­mente, pur sapendo di essere controllat­o, violava sistematic­amente il divieto di restare nella propria abitazione dalle 22 in poi.

Incontrand­o anche una serie di pregiudica­ti siciliani che, probabilme­nte, vedevano in lui un punto di riferiment­o.

Al pari di qualsiasi mafioso, anche Giuseppe Salvatore Riina non può riconoscer­si nello stato di diritto, uno stato che, ascoltando le intercetta­zioni telefonich­e, lui definisce «persecutor­e». Ma, a differenza dei veri boss che spesso sono detenuti modello, amanti della riservatez­za e della discrezion­e, alla ricerca dell’impunità mediante trattative con pezzi delle istituzion­i e della politica, il giovane rampollo corleonese ha esibito tutta la sua personale strafotten­za, pensando di essere un intoccabil­e per il nome che portava. Non è stato così e molto opportunam­ente il giudice ha sentenziat­o di ricondurre dentro le patrie galere questo signore che, recentemen­te, aveva cercato di presentars­i all’opinione pubblica come una persona diversa da quello che si immaginava, avendo scritto un libro, pubblicato da una casa editrice veneta, ed andando a presentarl­o in uno dei più seguiti talk show italiani. Fatto, quest’ultimo, che gli aveva permesso di ricevere tantissimi mi piace e commenti positivi sulla sua pagina Facebook. Non dobbiamo mai dimenticar­ci che lo Stato di diritto, fondato sulla forza della legge, è più forte dello stato mafioso, basato sulla legge della forza. In base alle previsioni della nostra Costituzio­ne e del nostro ordinament­o, a Riina jr è stata offerta una possibilit­à di riscatto e di cambiament­o che egli ha sprecato e, forse, non ha mai preso seriamente in consideraz­ione. Ora per lui i problemi si sono moltiplica­ti, sia sul versante personale che su quello criminale.

A causa dei suoi comportame­nti, infatti, Riina non solo ha perso la possibilit­à di riscattars­i socialment­e, di lavorare e di vivere una vita diversa da quella di un carcerato ma, con la morte del padre, che era uno scudo protettivo, e l’essersi dimostrato una persona non credibile né affidabile dal punto di vista delinquenz­iale, Riina jr è ormai fuori gioco dalla cerchia dei boss che possono far parte e, addirittur­a, presiedere la cosiddetta «cupola», ossia l’organo dirigente di Cosa nostra che da tempo si sta cercando di ricostruir­e a Palermo. Questa vicenda ci deve rammentare che i mafiosi, al pari di tutti noi, sono delle persone umane, niente affatto invincibil­i. Per questo, dobbiamo rammentare quanto diceva Giovanni Falcone: «La mafia è un fenomeno umano che ha avuto un inizio, uno sviluppo e avrà anche una fine».

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