GIOVANI, TRE NO DA SCIOGLIERE
Persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione. È questa la generazione dai 15 ai 29 anni dei «3 NO», in Veneto un gruppo nell’ordine dei 120mila giovani (il 17% circa di quella classe di età) cresciuto in fretta dal 2008, l’annus horribilis dell’avvio della crisi. Con la ripresa in corso, quella lunga fila potrà anche sfoltirsi, ma per dire che il peggio è passato non basta affidarsi ai dati del Pil. Va prestata attenzione alla cultura. Se i decisori politici e il mondo imprenditoriale definiscono i «3 NO» un problema complicato anziché complesso, non basterà il vento della crescita economica nelle vele per far sì che quei giovani possano sognare, scoprire ed esplorare i nuovi lidi dell’istruzione e del lavoro. Il fatto è che nel pubblico come nel privato prevale quella cultura manageriale che vede nei problemi sempre e solo la loro natura complicata. Al fine di risolverli, si richiedono coordinamento e competenze specialistiche per smontarli e analizzarne i dettagli. Operazione sempre più facile grazie alla crescente potenza di calcolo. I «3 NO» rientrano, però, tra i problemi complessi che per la loro imprevedibilità vanno affrontati con tanti esperimenti su piccola scala. C’è da interrogarsi non sulle negatività visibili dei NEET (questo l’acronimo inglese per i giovani dei «3 NO» entrato nel linguaggio comune), ma sulle loro potenzialità latenti. Come accade nei laboratori scientifici, più sono gli esperimenti compiuti, più facile è che quel potenziale emerga.
Edeve trattarsi di esperimenti guidati non dall’insegnamento bensì dall’apprendimento. Qui entrano in gioco i due «NO» allo studio e alla formazione.
Ricerche e inchieste comportamentali inducono a riflettere sulla non predisposizione dei NEET verso le mappe della conoscenza illustrate dagli insegnanti per poi rispondere alle loro domande.
La mente dei NEET pare essere preparata a formulare domande anziché a dare risposte. Costoro coltivano questioni astruse che svelano sentieri inediti da percorrere. Il nodo del «NO» allo studio si scioglie inoltrandoli lungo percorsi d’apprendimento indirizzati ad ideare per poi volgere le idee maturate in azioni imprenditoriali. E l’esercizio dell’ideazione avviene nella palestra della sperimentazione, dove si entra con bagaglio leggero, non appesantito dalla conoscenza accumulata nei corsi d’insegnamento.
Che i NEET non rispettino la gerarchia del sapere, per riprendere un’immagine cara al professor Umberto Veronesi, è il dubbio da coltivare. È allora la cultura imprenditoriale della complessità, non quella manageriale della complicazione, ad aprire ai NEET la finestra sul futuro. Dal «F.A.R.E.» («Favorire l’Autoimprenditorialità e l’Autoimpiego-realizzare Eccellenze») impresa con la Regione alle altre iniziative a favore dell’imprenditoria giovanile sbocciate in questi anni, è questa la direzione da imboccare per volgere in un «Sì» imprenditoriale quei «3 NO».