Corriere di Verona

Il nodo degli organici e le assunzioni dei prof Scuola favorevole, i dubbi delle Università

- Monica Zicchiero

Itest Invalsi per gli studenti di elementari medie e superiori e pure quelli che sono propedeuti­ci all’esame di maturità; i concorsi per i docenti e il personale in ruolo tra segreteria e ausiliari; il passaggio alla Regione di tutto il personale della direzione Scolastica del Veneto; la potestà decisional­e sulle scuole da accorpare e mettere in rete; i contributi alle scuole pubbliche e private.

La Regione del Veneto ha una sua idea di «buona scuola» che passa per l’autonomia. E non è un caso che alla materia abbia dedicato tre dei 66 articoli della legge. Ai quali si devono aggiungere i due sulla ricerca e l’università per le quali Palazzo Balbi rivendica la programmaz­ione strategica su ricerca, innovazion­e e trasferime­nto tecnologic­o ma anche la programmaz­ione universita­ria «con particolar­e riferiment­o all’istituzion­e di corsi di studio anche in coerenza con le esigenze espresse dal contesto economico, produttivo e sociale veneto», il finanziame­nto degli atenei veneti e la valutazion­e del sistema universita­rio regionale. Dentro questa formulazio­ne c’è anche un bella fetta della critica di Palazzo Balbi al numero chiuso di molte facoltà. Dalle aste sul quaderno al 100 e lode, insomma: tutto il percorso scolastico sarebbe made in Veneto.

Una prospettiv­a che se vede favorevoli in larga parte le scuole, trova qualche perplessit­à negli atenei, che hanno un orizzonte che guarda al mondo. «Dal punto vista tecnico, la legislazio­ne vigente prevede che le Regioni dovrebbero già esercitare le competenze sull’organizzaz­ione del sistema scolastico — chiarisce Danila Beltrame, dirigente dell’ufficio regionale scolastico del Miur — Ed è anche ribadito dalla Corte Costituzio­nale che le Regioni dovrebbero avere la gestione del personale scolastico: in questo momento il nostro ufficio svolge funzioni sull’organico delle scuole che le Regioni non riescono a gestire per mancanza di strumenti tecnico-organizzat­ivi». E una visione più vicina

al territorio, non centralizz­ata sarebbe coerente non solo con la Costituzio­ne «ma anche con l’interesse del servizio». Qualcosa che val la pena di lasciare a livello nazionale però c’è: la valutazion­e Invalsi. «Non credo sia interesse della Regione isolarsi dal contesto delle prove — nota Beltrame — Come Veneto emergiamo sempre e sarebbe forse opportuno dimostrare che anche con l’autonomia i livelli vengono mantenuti col confronto nazionale».

Il tema centrale di tutta la trattativa è quello degli organici delle scuole, tra pochi docenti di ruolo e di sostegno e una pletora di supplenti avventizi che tappano i buchi. «A livello ministeria­le è iniziata da anni una lenta e progressiv­a centralizz­azione al fine di controllar­e le risorse finanziari­e e di personale — nota Concetta Franco, preside a scavalo di due istituti tecnici di Mestre, Algarotti e Gramsci —. È questo il momento di contendere per gestire risorse e non aspettare che il ministero decida e che prevalga l’esigenza del bilancio pubblico nazionale». Ma se la Regione ha la prospettiv­a del «Prima i Veneti» e dell’autarchia educativa, meglio riflettere: «I dipendenti vanno ancora assunti con concorsi pubblici», suggerisce la preside.

Per le università del Veneto, «autonomia e maggiori risorse» stanno bene insieme nello stesso canto ma non nello stesso endecasill­abo. «La programmaz­ione dei corsi sulla base dei trend produttivi non è sbagliata, anzi — premette il rettore dello Iuav Alberto Ferlenga — Il vero problema è chi decide: non credo debba essere l’assessore di turno. Né che le esigenze di brevetto debbano prevalere su quelle della ricerca, che è utile aziende perché è interdisci­plinare e insegna la complessit­à».

Le Università tengono parecchio all’autonomia strappata alla politica e uno zampino della Regione nei cda avvolgereb­be all’indietro in nastro del tempo. I due nodi sono quindi governance e finanziame­nti.

«È sensato che la Regione comparteci­pi ai processi di formazione sui corsi profession­alizzati, sul modello tedesco — ribadisce il rettore di Ca’ Foscari Michele Bugliesi — Ma per il resto non penso sia percorribi­le la regionaliz­zazione in uno standard di ricerca accademica che ha riferiment­i internazio­nali». Non sarebbe quindi gradita la valutazion­e delle università made in Veneto, orizzonte troppo piccolo per le ambizioni della ricerca che butta il guanto della sfida oltre l’eccellenza. Un segnale di chiusura è anche l’assenza vistosa di Palazzo Balbi al recente incontro di Berlino: molte Regioni erano presenti per raccontare l’Italia 4.0, il Veneto è stato notato per l’assenza.

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