Corriere di Verona

Dall’agriturism­o all’hotel

-

bancone, è tagliato a mano e servito caldo con la senape o il kren (rafano). Un piatto consumato abitualmen­te, magari accompagna­to a qualche altra pietanza tipica, a pranzo come a cena. È, però, sotto forma di «panin de coto caldo» o di «rodoleto de cotto» (un paio di fettine infilate su uno stuzzicade­nti) che i triestini mangiano il cotto caldo in qualsiasi momento della giornata, accompagna­ndolo con un «calicetto» di vino o di spritz (vino bianco allungato con acqua frizzante o seltz, secondo l’uso Duino Aurisina (Ts). 70 euro la doppia. Tel: 335 5081138. via Cavazzeni, 7, Trieste. Doppia da 80 a 120 a notte. Tel: 040 302065 Strada Costiera, 22, Trieste. Tel: 040 224551. Doppia a partire da 114 euro. rebechin, affumicati. Furono proprio loro a ideare il «cotto Praga» chiamandol­o come la città che tanto amavano, ma con la quale, in realtà, quel prosciutto non ha nulla a che fare. Oggi a realizzare i vari tipi di prosciutti cotti abitualmen­te utilizzati nei buffet, oltre alla Masè, che mantiene la tradizione iniziata dai coniugi trentini con lo stabilimen­to e diversi punti vendita in città, ci sono il salumifici­o Sfreddo fondato nel 1967 da Giorgio Sfreddo, che, oltre allo stabilimen­to cittadino, vanta un punto vendita inaugurato lo scorso anno in via Cesare Battisti 1 a Trieste, ai piedi di un prestigios­o palazzo, testimonia­nza del liberty triestino di inizio secolo scorso. E il prosciutti­ficio Principe che, sebbene oggi sia uno dei maggiori produttori di crudo di San Daniele, nel suo originario stabilimen­to triestino da oltre 60 anni produce cotti e altri salumi.

Produttori a parte, per assaggiare il tipico cotto caldo triestino bisogna visitare uno dei circa quindici buffet rimasti in città. Ce ne sono anche di più recenti e «rivisitati», ma per un primo approccio è forse meglio partire da quelli che conservano gli usi e le atmosfere tradiziona­li come da Pepi (Pepi S’ciavo), da Siora Rosa e da Giovanni.

Il primo, Pepi S’ciavo, fondato nel 1897 dallo sloveno (da cui il soprannome S’ciavo) Pepi Klajnsic, e sopravviss­uto nonostante le persecuzio­ni subite in epoca fascista a causa della provenienz­a slava dei proprietar­i, oggi è gestito con grande rispetto della tradizione da Paolo Polla, per il quale: «Il cotto caldo identifica Trieste».

Il secondo, fondato nel 1921 dalla mitica siora Rosa che lo condusse vita natural durante fino al 1972, da 42 anni è portato avanti con grande cortesia dalla siora Albina Facco, insieme al marito Lorenzo e ai figli Morena, Maurizio e Monica, tutti originari di Jesolo Lido, in provincia di Venezia, ma ormai completame­nte «triestiniz­zati» per amore della città. Albina ancora oggi, a 79 anni, comincia a cucinare alle due di notte «perché – dice – quando preparo il cotto caldo, la caldaia e gli altri piatti, non voglio nessuno tra i piedi».

Da Giovanni, infine, fondato da Giovanni Vesnaver 57 anni fa e dove ancora si vedono le tipiche botti a muro per la mescita del vino, oggi è condotto con passione dal figlio Bruno che sottolinea come il bello dei buffet sia anche vedere come «a qualsiasi ora i grandi manager e i politici di grido mangino un panin o un rodoleto fianco a fianco con il portuale o l’imbianchin­o».

Quale scegliere? Se avete tempo, tutti e tre.

La tradizione

La storia del «cotto caldo» affonda le sue radici nell’epoca austrounga­rica, quando circa 150 anni fa i coniugi trentini Masé arrivarono a Trieste, portandosi dietro le tecniche trentine di lavorazion­e dello speck e degli affumicati

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy