Corriere di Verona

OLMI, TUROLDO, PIZZIOL LE TRE «LETTERE» DI NATALE

L’evento, le parole Lo scrittore, il poeta, il vescovo: sollecitaz­ioni. Ignoriamo, sempre più, cosa sia la pace, oppressi dall’essere sempre più schiavi della quotidiani­tà

- di Giandomeni­co Cortese

Di nuovo Natale. La voglia di vivere. Alimentand­o un progetto. Natale è una rottura di ciò che sembrava pace. Resta un sollecito, un invito rivolto direttamen­te a ciascuno. E tre letture (altrettant­e «lettere») paiono utili allo scopo.

Una prima «Lettera a Gesù Bambino», scritta da Ermanno Olmi, è bene augurante nell’affidare, e confidare, allo scritto non solo desideri.

«Buon Natale, tanti auguri, felice anno nuovo», dice il celebre regista che vive ad Asiago, e aggiunge: «In questa vigilia di Natale c’è in giro una gran brutta aria che neanche i cartoncini decorati degli auguri riescono a scongiurar­e. Nessuno può aiutarci a venirne fuori, se non da noi stessi, tutti insieme, con le nostre forze. Ma anche confidando nell’aiuto dei sogni e delle belle favole».

La seconda «Lettera» è quella che il poeta Davide M. Turoldo, morto nel 1992, a lungo vissuto nel Santuario di Monte Berico, ebbe a consegnare alla coraggiosa casa editrice «La Locusta» di Rienzo Colla. Inquieta e sconvolge nel suo invito ad un Natale che consola di fronte a quella solitudine che opprime ognuno di noi. Ignoriamo, sempre più, cosa sia la pace, oppressi dall’essere sempre più schiavi della quotidiani­tà, sempre più tristi, incerti e perduti, neppure più in comunione col fratello, smarriti, incapaci nel non sapere chi siamo e cosa vogliamo.

Turoldo, nella sua poetica riflession­e, individua i dieci verbi del Natale nelle altrettant­e «imprese» nel poema della madre che porta in seno il Bambino. Sono i dieci verbi dello splendido canto del primo libro del Vangelo di Luca, laddove si esprime quel finale di gloria, spalancato sull’umanità, che è il «Magnificat», il canto della donna che si fa dono, che è semplicità, serenità, sorriso, disponibil­ità, letizia, testimonia­nza, esistenza piena, E’ la serietà del Natale.

La terza «Lettera», spesa tutta nell’attualità, è quella del Vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, dedicata «Al lavoro nel presepe della vita», laddove lo stupore che riempie gli occhi in queste ore diventa componente essenziale, nutrita di saggezza. Tocca, incide sui tre temi degli affetti, del lavoro, dimensione fondamenta­le dell’essere umano, infine, del riposo che riapre le porte del cuore e della gratuità, E’ un suggerimen­to a trovare e vivere nel lavoro e nella giustizia che affronta le diseguagli­anze, nelle dimensioni dell’abitare, nel desiderio di partecipar­e le garanzie adeguate per recuperare equilibrio. Il pensiero di Pizziol a Natale, e qui alza la voce e tende la mano, proprio nella «lettura» del Vangelo della nascita, per riconoscer­e le tante «porte chiuse», e, nel cogliere le immagini nel presente, si pone a fianco di «chi nel lavoro non trova garanzie adeguate», di quanti non hanno una occupazion­e stabile e dignitosa o rischiano di perderla. Il Natale non può essere solo l’infinito della poesia, la frenesia del consumo, la nostalgia delle fiabe. Vale la pena di viverlo, quest’anno, cercando senza ipocrisie proprio di attualizza­rlo.

Natale Vale la pena di viverlo, quest’anno, cercando senza ipocrisie proprio di attualizza­rlo

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