Corriere di Verona

La rabbia del curatore «Sfida alla città»

Calza: «Opera di esibizioni­sti». I gioielli spariti erano nell’ultima teca e sarebbero i più recenti

- di Andrea Priante

La sfida era di quelle impossibil­i: mettere insieme una collezione di gioielli unici in appena due anni. E anche solo per sperare di poterla vincere, occorreva affidarsi alle persone giuste, a cominciare da Amin Jaffer, un esperto di Christie che è anche un ex conservato­re al Victoria & Albert Museum di Londra. Ma soprattutt­o, serviva un capitale immenso. Come quello di uno sceicco, magari.

È iniziata così l’avventura di Sua Altezza Hamad bin Abdullah Al Thani, membro della famiglia reale del Qatar, una dinastia il cui patrimonio è calcolato attorno a 135 miliardi di dollari. Sfida vinta, naturalmen­te.

Con la consulenza di Jaffer, lo sceicco ha messo insieme i più grandi tesori dell’artigianat­o orientale che uniscono oro, platino ma anche pietre rarissime come i diamanti di Golconda, gli zaffiri del Kashmir, i rubini della Birmania o le perle del Golfo persico. Oggetti che meritavano di essere ammirati in tutto il mondo, al punto che, dal 2014 a oggi, alla collezione Al Thani hanno dedicato esposizion­i di successo musei come il Metropolit­an di New York, il V&A Museum di Londra, il Grand Palais di Parigi. Fino all’evento aperto il 9 settembre e concluso ieri, in modo così inaspettat­o, al Palazzo Ducale di Venezia: «Tesori dei Moghul e dei Maharaja, la collezione Al Thani». In vetrina 270 oggetti che raccontano cinquecent­o anni di storia dell’arte orafa legata, per origine o ispirazion­e, al subcontine­nte indiano. Dai leggendari gioielli della corte Moghul fino ai lavori commission­ati alle più famose

maison europee, a cominciare da Cartier.

A curare l’evento veneziano, oltre a Amin Jaffer (conservato­re capo della collezione Al Thani) è Gian Carlo Calza, studioso di arte dell’Estremo Oriente. È proprio Calza a spiegare che ieri mattina «è stata scassinata una vetrina dell’ultima sezione della mostra, quella dedicata allo scambio culturale contempora­neo tra Oriente e Occidente: conteneva degli orecchini e una spilla realizzate da un importante gioiellier­e». Il nome però non lo rivela. «È europeo, uno dei più famosi al mondo, che lavora per l’India da più di cento anni». Qualcuno come Cartier? «Questo lo dice lei, io non posso...».

Calza, 75 anni, è professore di Storia dell’arte dell’Asia Orientale all’Università di Venezia e ha curato decine di mostre. «Non si tratta di gioielli storici, ma recenti», precisa. Oggetti preziosiss­imi, sui quali però ballano stime molto diverse: il «valore doganale» sarebbe appena di 30mila euro, ma fonti della questura stimano in realtà in «qualche milione di euro». Calza non si sbilancia: «Io sono un esperto d’arte, non mi interesso di valori commercial­i». Sottolinea però alcune cose sul sistema di sicurezza: «I ladri hanno forzato la teca, e non so come abbiano fatto visto che si tratta delle stesse vetrine usate al Grand Palais, studiate da un grande studio di Parigi molto attento alla valorizzaz­ione degli oggetti che contengono ma anche alla loro salvaguard­ia».

Calza ha una tesi tutta sua sul movente del furto: «La mia impression­e è che forse abbiamo a che fare con due ladri che hanno voluto compiere un gesto eclatante, magari per dimostrare la loro abilità. Degli esibizioni­sti, insomma. Parliamoci chiaro: fare un furto in un posto del genere, in una città internazio­nale... è quanto meno strano. Ma staremo a vedere per quanto tempo riuscirann­o a farla franca, probabilme­nte presto li prenderann­o: Palazzo Ducale è pieno di telecamere, chi ha fatto il colpo è uno stupido se crede di poterla fare franca».

La ferita, però, è all’immagine stessa di Venezia nel mondo. «Purtroppo c’è chi, pur di danneggiar­e gli altri, è disposto a rimetterci di persona. Ciò che è capitato non è certo bello, specie per Venezia è uno sfregio: come italiano sono molto infastidit­o».

Ora che ha chiuso i battenti, per il curatore resta il ricordo di una mostra «che ha avuto un ottimo successo, grazie all’interesse che lo sceicco aveva di esporre in quella che era la “porta d’Oriente”. A Venezia in queste ore c’è il suo curatore, che doveva seguire le operazioni di smontaggio delle installazi­oni. E una cosa la sa bene anche lo sceicco: la mostra era coperta da una superassic­urazione».

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Il sindaco di Venezia Brugnaro (a sinistra) e lo sceicco Al Thani (a destra)
Arcot II, il diamante indiano del 1760
Girocollo del nizam di Hyderabad, in oro, diamanti, smeraldi e smalto
Una sala della mostra di Palazzo Ducale (collezione Al Thani) Il sindaco di Venezia Brugnaro (a sinistra) e lo sceicco Al Thani (a destra) Arcot II, il diamante indiano del 1760 Girocollo del nizam di Hyderabad, in oro, diamanti, smeraldi e smalto
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