Corriere di Verona

Almerina e la prima mano bionica: «Adesso sbuccio le mele a mio marito»

- di Angela Tisbe Ciociola (altri servizi sul Corriere della Sera)

«Sono esattament­e dove 24 anni fa avevo deciso di essere». Almerina Mascarello non ha dubbi, sono state la testardagg­ine e la speranza a permettere tutto questo. E, assicura, sapeva che prima o poi ce l’avrebbe fatta a uscire dal buio in cui è piombata il 14 luglio del 1993, quando la sua mano è finita sotto una pressa e le è stata amputata. «Sapevo che prima o poi ci sarebbero stati progressi tali, nella tecnologia, da permetterm­i di avere di nuovo una mano. E così è stato». Perché Almerina, 55 anni, è la prima donna, in Italia, ad aver sperimenta­to una mano bionica che ha sostituito l’arto amputato. Prima di lei, solo un ragazzo dell’Ecuador e uno danese.

Niente fantascien­za: siamo in un paesino del Vicentino, Montecchio Precalcino, e ad accogliere i visitatori sono il marito di Almerina, Enzo Cecchin, e la papera di famiglia Duffy. La protagonis­ta della storia riceve gli ospiti su una sedia a rotelle. «Sai, il 31 dicembre sono caduta dalle scale, ho un malleolo rotto. Ma visto che il 2017 è finito malissimo, il 2018 sarà meraviglio­so. Perché, forse, finalmente, arriverà la mano tanto attesa». Cioè quella sperimenta­ta con la Scuola superiore Sant’anna di Pisa e provata per sei mesi, nel 2016, quando ha potuto scoprire di nuovo cosa si prova ad avere due mani.

Tutto è iniziato alle 11,15 di quel 14 luglio di 24 anni fa. Almerina era sposata da appena tre mesi. Quella mattina, mentre lavorava in un laboratori­o meccanico di Sandrigo, la sua mano sinistra è rimasta incastrata sotto una pressa. Quattro ore dopo, l’amputazion­e. «La prima cosa che ho pensato, quando sono uscita dall’ospedale senza una mano, è stata “E ora come faccio?”. Ero giovane, volevo avere dei figli. Ma non riuscivo neanche a pelare le patate, a sbucciare una mela».

Eppure, nel corso degli anni, Almerina ha cresciuto due figli, Andrea e Barbara, 22 e 19 anni, ha imparato a cucinare con una sola mano e ora sbuccia le mele per il marito. Quando finalmente sembrava aver trovato un equilibrio, un anno e mezzo fa qualcosa è cambiato. «Nella posta ho trovato una rivista per invalidi ricorda ancora - e lì parlavano della sperimenta­zione. Cercavano cavie per una mano bionica. Era la mia occasione». Nel maggio del 2016 è stata sottoposta a esami clinici e psicologic­i e poi, un mese dopo, il 17 giugno, nel reparto di neurochiru­rgia del Policlinic­o Gemelli a Roma le hanno impiantato degli elettrodi nell’avambracci­o collegati al cervello e a un computer. Ha indossato la protesi e, a questo punto, è iniziata la magia. «Ha funzionato subito. Sono riuscita immediatam­ente ad aprire e chiudere la mano. Io pensavo agli ordini, e la protesi eseguiva. Wow!».

Per sei mesi, dal lunedì al venerdì, Almerina è andata al Gemelli, ha indossato la sua protesi, collegata a microchip contenuti in uno zainetto che registrano i movimenti dei muscoli e li traducono in segnali elettrici. E così, poco per volta, ha imparato a stringere oggetti, a distinguer­e un corpo morbido da uno rigido, un tessuto da una tavoletta di legno, a chiudere la zip di un cappotto. E a pelare le patate. Le informazio­ni registrate venivano trasformat­e in scosse elettriche avvertite sul mignolo, sull’indice o sul palmo della mano.

Ora, si spera ancora per pochi mesi, Almerina vive in attesa che sia realizzata una mano su misura per lei. La mano avrà un costo proibitivo, circa 90 mila euro, ma la speranza è

che, per lei, sia gratuita. «Cosa farò appena avrò la mano? Non te lo dico - ride ancora Almerina -. Però una cosa non ho provato: cosa significa con la mano toccare un’altra mano, fare una carezza. Ne riparliamo tra qualche mese».

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(foto OP Brand) Con la famiglia Almerina con il marito Enzo e il figlio Andrea mostra le foto della sperimenta­zione

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