Corriere di Verona

«Nordest, 2018 di svolta Più spazio alle imprese o finiremo ai margini» Fondazione Nordest, Peghin lascia: «Contesto decisivo»

- di Federico Nicoletti

«Cinque anni terribili, rivoluzion­ari. Ma le imprese del Veneto hanno resistito. E ora vedono la luce in fondo al tunnel». Riguarda indietro, agli anni da presidente della Fondazione Nordest, Francesco Peghin, 53 anni, l’industrial­e, già al vertice di Confindust­ria Padova, che guida Blowtherm, il gruppo padovano da 75 milioni di fatturato, a cavallo tra industria - tra impianti da riscaldame­nto e la leadership mondiale dei forni da verniciatu­ra per auto - e sanità. Peghin si avvia all’uscita da Fondazione, con l’approvazio­ne del bilancio 2017 a metà febbraio, dopo la decisione del presidente di Confindust­ria Veneto, Matteo Zoppas, di affidare il nuovo corso alla guida scientific­a dell’ex rettore di Ca’ Foscari Carlo Carraro e quella operativa del presidente di Confindust­ria Friuli Venezia Giulia, Giuseppe Bono. Peghin lascia a loro il futuro e si concentra sul bilancio da tirare, sulla strada compiuta dal Nordest: «Pensiamo solo al momento

più cupo della crisi, al 2013, al crollo dell’economia, ai suicidi degli imprendito­ri... Adesso si vede una luce in fondo al tunnel». Solo una luce o anche una direzione di marcia ritrovata?

«Prendo a prestito un esempio personale. Il 2017 per Blowtherm, che è molto diversific­ata, è stato il primo anno molto positivo in tutti gli ambiti. Tutte le aziende hanno chiuso aumentando i fatturati, e gli ambiti industrial­i in particolar­e con un ottimo secondo semestre. Frutto della domanda molto forte negli Usa, di una Russia che riparte, di una Cina con forti investimen­ti nell’ambiente. Il tutto con un cambio euro-dollaro più equilibrat­o, prezzi del petrolio bassi e l’iperammort­amento che ha rilanciato gli investimen­ti». E il 2018?

«Si presenta ancor più positivo in scia al 2017. Ma questa inversione di tendenza che indubbiame­nte c’è stata va colta nella giusta maniera. L’Italia cresce comunque sempre meno degli altri Paesi europei e persiste la polarizzaz­ione tra imprese che vanno molto bene e che faticano. Le aziende stanno facendo il loro dovere. Ora serve una politica economica che crei il contesto favorevole».

Richiesta avanzata inutilment­e da anni. Vede possibile centrare ora il risultato con una politica che ci riporta al voto tornando addirittur­a indietro alla proporzion­ale?

«Il problema è che non possiamo più permetterc­i di star fermi. Sennò la ripresa non la agganciamo più. E il rischio è di diventare marginali. Per il Nordest è essenziale diventare attrattivo per gli investimen­ti. È il solo modo per dare tra l’altro una prospettiv­a ai nostri giovani. È prioritari­o creare spazi per le imprese in un Paese coeso. È presuntuos­o pensare di far da soli, specie nel contesto di un’Europa da cambiare». Una critica all’autonomia?

«Che è importante per metterci nelle stesse condizioni di competitiv­ità delle Regioni a statuto speciale che ci circondano. Ma che non può risolvere tutti i problemi».

In compenso il Nordest sull’impresa appare imballato. Iniziative nuove non se ne vedono. Nel frattempo abbiamo vissuto un 2017 di preoccupan­te shopping estero sulle imprese di casa nostra.

«Vero in parte. Abbiamo sia esperienze di gruppi esteri che acquisisco­no imprese sviluppand­ole, a partire dall’occupazion­e, che di altri mossisi in un’ottica di rapina. Ed è altrettant­o vero che certi imprendito­ri si spingono fino a un certo punto e poi vendono. Ma anche qui torniamo alla questione attrattivi­tà dell’Italia e del Nordest, ai problemi della burocrazia e della giustizia. A un contesto che non è il più adatto per fare impresa».

Di nuovo in Veneto si vede poco anche rispetto ai nuovi ambiti, come il digitale.

«Sono scettico sulle startup digitali. Non siamo la Silicon Valley. Credo più interessan­te guardare al digitale che può rivoluzion­are le imprese manifattur­iere».

Sul deficit di nuove iniziative quanto pesa la limitazion­e del credito post-crollo delle popolari?

«La questione che si fa sentire è che non ha mai attecchito dalle nostre parti il ricorso a un private equity che può far crescere le imprese. Ma anche qui, per la svolta, tocca agli imprendito­ri essere attrattivi e capaci di mostrare progetti convincent­i agli investitor­i».

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