Uri Caine: «Così sposo jazz e classica al Ristori»
Domani suonerà al Ristori per un concerto che mischia il linguaggio del jazz al «verbo» classico dei Virtuosi Italiani. «Come funziona il dialogo tra i due generi? Con l’improvvisazione è naturale. I mei progetti? Uno sarà dedicato a Trump...»
Domani alle 20.30 la rassegna American Jazz Sound del teatro Ristori di Verona ospita Variations: un concerto che unisce il «verbo classico» dell’ensemble i Virtuosi Italiani alle improvvisazioni di un pianista e compositore che ha sempre vissuto il jazz come un modo per esplorare i linguaggi colti del passato: Uri Caine. Come funziona il dialogo fra jazz e musica classica?
«I musicisti jazz sono abituati a prendere molti tipi di forme musicali e ad usarle come base per l’improvvisazione: si può improvvisare su una canzone popolare italiana, un brano di Broadway, un semplice pattern ritmico oppure, appunto, utilizzando le armonie e le strutture della musica classica».
Oltre al repertorio classico, durante il concerto è prevista l’esecuzione di brani originali: quale il loro stile?
«Il “Concertino” è stato composto originariamente per viola da gamba e orchestra d’archi nel 2008 ed è stato poi adattato per pianoforte. La musica è tonale e ha un suono neoclassico. Un altro pezzo è tratto da una composizione più lunga che ho scritto per i Virtuosi Italiani nel 2009, intitolata “The Dolomite Suite”: anche questa è tonale».
Si dice che Bach sia stato il primo jazzista.
«Non sono sicuro su cosa si intenda nello specifico con questo. Certamente Bach era un grande improvvisatore, molte delle sue linee di basso richiamano il tipico accompagnamento jazzistico del “walking bass” e c’è anche dell’altro in comune: per cui un fondo di verità probabilmente esiste. Alla fine però Bach è Bach!»
Quali sono, secondo lei, degli altri compositori classici che presentano delle similitudini con il jazz?
«Sicuramente Bernstein, Copland, Gershwin, Milhaud, Stravinsky e Ives sono stati influenzati dal jazz; poi ci sono anche altri musicisti contemporanei che hanno introdotto un certo spazio per l’improvvisazione ». Quali repertori le piace maggiormente rivisitare?
«Molti dei miei progetti interessano la musica che ho cominciato a studiare quando ero un giovane musicista (Mahler, Verdi, Wagner) o che ho suonato quando ero un giovane pianista (Goldberg, Schumann, Mozart). Per cui direi questi».
Non solo jazz e classica nel suo approccio stilistico, ma anche folk e rock: è vero? «Come tastierista, specialmente nei miei primi anni a Filadelfia, ho suonato rock, funk, R&B e musica d’avanguardia: essere un tastierista infatti ti permette di entrare in tanti contesti musicali diversi!» Ci sono dei generi musicali con cui non ha ancora sperimentato e che le piacerebbe provare? «Attualmente sto lavorando a un progetto di tango con alcuni musicisti argentini, sicché ora sto studiando e ascoltando tantissima musica di questo genere. Come compositore però adesso sono soprattutto concentrato nello scrivere la mia musica originale». Quali sono quindi i suoi prossimi progetti?
«“Agent Orange”, un nuovo lavoro per la Brussels Philharmonic e quattro improvvisatori sulla nostra attuale situazione politica con il Presidente Trump: debutterà il 18 e 19 gennaio in Belgio. Vorrei aggiungere che mi è capitato di suonare in un casinò di Trump ad Atlantic City quando avevo 18 anni e che non sono mai stato pagato... ».