Corriere di Verona

ASCOPIAVE TRA GUERRA E STRATEGIE

Il Veneto si scanna sulla Madia, Lombardia e Toscana pensano già al dopo

- di Federico Nicoletti

Le fusioni tra utilities, proprio a valle della legge Madia, che favorisce il ruolo di chi è già in Borsa. E le scelte sul gas, ovvero se rimanere nel business della vendita, per ora redditizio ma a rischio con la definitiva liberalizz­azione del mercato che favorisce i colossi, o uscirne per concentrar­si sulla più sicura distribuzi­one. Se il presente è solido, è pur vero però che il test decisivo per Ascopiave ruota intorno alle scelte strategich­e per assicurarn­e il futuro. Scelte per ora che appaiono accantonat­e, mentre le energie sembrano spese tutte intorno allo scontro legale in Asco Holding, la scatola di controllo, con il 61,5%, della quotata trevigiana del gas in mano a 90 Comuni, che domina e dominerà la scena dei prossimi mesi, rischiando tra l’altro di rivelarsi una trappola mortale.

Lo scontro riguarda la fusione inversa di Asco Holding nella controllat­a Ascopiave, che è già in Borsa. Linea che pare ovvia per attraversa­re senza patemi la riorganizz­azione delle partecipat­e dei Comuni imposta dalla legge Madia, che impone la vendita a meno che non siano quotate. Solo che così il 40% in mano ai municipi leghisti, che basta a comandar da soli con il 61% della holding, non basta più, se diluita nella Piave. Bisogna tener conto, se si vuole ancorare il controllo territoria­le della utility con un patto di sindacato come ad esempio esiste in Hera, anche degli altri Comuni e degli imprendito­ri privati di Plavisgas, entrati due anni fa con l’8,6% spendendo 27 milioni.

Allora andava bene, visto che manteneva il controllo in mano alla holding dei Comuni; oggi non più, visto che i privati bollano la soluzione alternativ­a per mantenere il controllo leghista - la fusione tra Asco Holding e la controllat­a della fibra ottica Asco Tlc - come un aggirament­o della legge che deprime il valore delle azioni e aprono una dura battaglia legale.

Intanto, mentre le puntate dello scontro si susseguono, si perdono di vista le scelte strategich­e. Come il risiko delle utilities. L’ovvia conseguenz­a della Madia è di mettere in posizione di forza chi è già quotato e può salvare, acquisendo, società più piccole che non lo sono. Le soluzioni in questa direzione si moltiplica­no. In Lombardia, il colosso di Milano-Brescia A2a, dopo aver conquistat­o Linea group di Pavia, Lodi e Cremona, fa ora il bis a nord, fondendo in Acs-Agam, la multiutili­ty di Monza e Como di cui ha il 24%, le società locali di Varese, Sondrio e Lecco. Lo stesso succede più a Ovest, dove Iren, la quotata di Torino, Genova, Piacenza, Parma e Reggio, acquisirà, con la Acam, l’acqua e i rifiuti della provincia di La Spezia. Tra Toscana e Marche, la multiutili­ty di Prato Estra, che ha riunito Prato, Arezzo e Siena, e 97 Comuni, dopo aver deciso per la Borsa, prende ora a bordo la marchigian­a Multiservi­zi di Ancona, in mano a 44 Comuni di Ancona e Macerata.

Su questo terreno non si registrano invece passi visibili dalla galassia Asco, dopo aver interrotto a settembre la trattativa per integrare la multiutili­ty lombarda AebGelsia (per il 71% del Comune di Seregno, che quoterà ora da sola le attività del gas). Specie in Veneto, dove intanto avanza, non senza difficoltà, la fusione tra la veronese Agsm e la vicentina Aim, entrambe non quotate. E dove Ascopiave, almeno sul gas, potrebbe tentare di far valere il peso del settimo operatore nazionale nella distribuzi­one (805 milioni di metri cubi nel 2016, a fronte dei 354 di Verona e dei 249 di Vicenza) e il basso indebitame­nto (la leva finanziari­a - rapporto tra capitale e posizione finanziari­a netta - è cinque volte migliore della media delle maggiori utilities, mentre il debito eguaglia l’Ebitda, a fronte di una media di 2,6 volte).

Allo stesso modo nessuna mossa visibile (equivalent­e alla conferma dello status quo) si registra sull’altra scelta strategica messa sul tavolo due anni fa dal fondo Amber. Visto che i guadagni della vendita - era la tesi del fondo d’investimen­to che ha il 4% di Ascopiave - sul mercato libero si assottigli­ano, e la pressione salirà con la definitiva liberalizz­azione, che rende competitiv­i solo i colossi (secondo il Garante dell’energia, nel 2016 Eni ha venduto 12,2 miliardi di metri cubi, Edison 8,3, Enel 6,6, Iren 2,4, Hera 2, Ascopiave 800 milioni), sarebbe preferibil­e vendere la società del settore, Ascotrade, e reinvestir­e nell’acquisizio­ne di reti di distribuzi­one, più stabile e che può dare dividendi.

È la linea della società, aveva replicato in assemblea dei soci il presidente Fulvio Zugno, messo poi alla porta dalla Lega.

E se si guarda ai primi nove mesi del 2017 di Ascopiave, rispetto al 2016, si vede come i volumi di gas distribuit­i salgono da 529 a 550 milioni di metri cubi a parità di perimetro, e a 593 con le acquisizio­ni, con l’Ebitda che sale del 14% a 34 milioni di euro, da 29,7; al contrario il gas venduto sul mercato libero scende da 529 a 520 milioni e l’Ebitda del 16%, a 33,6 milioni da 40. In un quadro in cui tra l’altro gli analisti della Sim Intermonte non mancano di avvertire, in uno studio di novembre, guardando al solo terzo trimestre, che anche i margini della distribuzi­one siano sotto pressione.

E nell’attuale fase di consolidam­ento del mercato libero, che spinge a rastrellar­e quote di mercato, mandando alle stelle i valori delle ultime acquisizio­ni, secondo alcune valutazion­i, se si utilizzass­ero quegli stessi parametri, la valutazion­e di Ascotrade potrebbe spingersi anche a 500 milioni di euro. Dando munizioni fin che si vuole da giocare nelle gare d’ambito, vera scommessa sul futuro di Ascopiave. Ma anche qui non si registrano indicazion­i che si sta valutando cosa fare.

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Nulla di fatto L’assemblea dei soci di Asco Holding del 15 dicembre

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