ASCOPIAVE TRA GUERRA E STRATEGIE
Il Veneto si scanna sulla Madia, Lombardia e Toscana pensano già al dopo
Le fusioni tra utilities, proprio a valle della legge Madia, che favorisce il ruolo di chi è già in Borsa. E le scelte sul gas, ovvero se rimanere nel business della vendita, per ora redditizio ma a rischio con la definitiva liberalizzazione del mercato che favorisce i colossi, o uscirne per concentrarsi sulla più sicura distribuzione. Se il presente è solido, è pur vero però che il test decisivo per Ascopiave ruota intorno alle scelte strategiche per assicurarne il futuro. Scelte per ora che appaiono accantonate, mentre le energie sembrano spese tutte intorno allo scontro legale in Asco Holding, la scatola di controllo, con il 61,5%, della quotata trevigiana del gas in mano a 90 Comuni, che domina e dominerà la scena dei prossimi mesi, rischiando tra l’altro di rivelarsi una trappola mortale.
Lo scontro riguarda la fusione inversa di Asco Holding nella controllata Ascopiave, che è già in Borsa. Linea che pare ovvia per attraversare senza patemi la riorganizzazione delle partecipate dei Comuni imposta dalla legge Madia, che impone la vendita a meno che non siano quotate. Solo che così il 40% in mano ai municipi leghisti, che basta a comandar da soli con il 61% della holding, non basta più, se diluita nella Piave. Bisogna tener conto, se si vuole ancorare il controllo territoriale della utility con un patto di sindacato come ad esempio esiste in Hera, anche degli altri Comuni e degli imprenditori privati di Plavisgas, entrati due anni fa con l’8,6% spendendo 27 milioni.
Allora andava bene, visto che manteneva il controllo in mano alla holding dei Comuni; oggi non più, visto che i privati bollano la soluzione alternativa per mantenere il controllo leghista - la fusione tra Asco Holding e la controllata della fibra ottica Asco Tlc - come un aggiramento della legge che deprime il valore delle azioni e aprono una dura battaglia legale.
Intanto, mentre le puntate dello scontro si susseguono, si perdono di vista le scelte strategiche. Come il risiko delle utilities. L’ovvia conseguenza della Madia è di mettere in posizione di forza chi è già quotato e può salvare, acquisendo, società più piccole che non lo sono. Le soluzioni in questa direzione si moltiplicano. In Lombardia, il colosso di Milano-Brescia A2a, dopo aver conquistato Linea group di Pavia, Lodi e Cremona, fa ora il bis a nord, fondendo in Acs-Agam, la multiutility di Monza e Como di cui ha il 24%, le società locali di Varese, Sondrio e Lecco. Lo stesso succede più a Ovest, dove Iren, la quotata di Torino, Genova, Piacenza, Parma e Reggio, acquisirà, con la Acam, l’acqua e i rifiuti della provincia di La Spezia. Tra Toscana e Marche, la multiutility di Prato Estra, che ha riunito Prato, Arezzo e Siena, e 97 Comuni, dopo aver deciso per la Borsa, prende ora a bordo la marchigiana Multiservizi di Ancona, in mano a 44 Comuni di Ancona e Macerata.
Su questo terreno non si registrano invece passi visibili dalla galassia Asco, dopo aver interrotto a settembre la trattativa per integrare la multiutility lombarda AebGelsia (per il 71% del Comune di Seregno, che quoterà ora da sola le attività del gas). Specie in Veneto, dove intanto avanza, non senza difficoltà, la fusione tra la veronese Agsm e la vicentina Aim, entrambe non quotate. E dove Ascopiave, almeno sul gas, potrebbe tentare di far valere il peso del settimo operatore nazionale nella distribuzione (805 milioni di metri cubi nel 2016, a fronte dei 354 di Verona e dei 249 di Vicenza) e il basso indebitamento (la leva finanziaria - rapporto tra capitale e posizione finanziaria netta - è cinque volte migliore della media delle maggiori utilities, mentre il debito eguaglia l’Ebitda, a fronte di una media di 2,6 volte).
Allo stesso modo nessuna mossa visibile (equivalente alla conferma dello status quo) si registra sull’altra scelta strategica messa sul tavolo due anni fa dal fondo Amber. Visto che i guadagni della vendita - era la tesi del fondo d’investimento che ha il 4% di Ascopiave - sul mercato libero si assottigliano, e la pressione salirà con la definitiva liberalizzazione, che rende competitivi solo i colossi (secondo il Garante dell’energia, nel 2016 Eni ha venduto 12,2 miliardi di metri cubi, Edison 8,3, Enel 6,6, Iren 2,4, Hera 2, Ascopiave 800 milioni), sarebbe preferibile vendere la società del settore, Ascotrade, e reinvestire nell’acquisizione di reti di distribuzione, più stabile e che può dare dividendi.
È la linea della società, aveva replicato in assemblea dei soci il presidente Fulvio Zugno, messo poi alla porta dalla Lega.
E se si guarda ai primi nove mesi del 2017 di Ascopiave, rispetto al 2016, si vede come i volumi di gas distribuiti salgono da 529 a 550 milioni di metri cubi a parità di perimetro, e a 593 con le acquisizioni, con l’Ebitda che sale del 14% a 34 milioni di euro, da 29,7; al contrario il gas venduto sul mercato libero scende da 529 a 520 milioni e l’Ebitda del 16%, a 33,6 milioni da 40. In un quadro in cui tra l’altro gli analisti della Sim Intermonte non mancano di avvertire, in uno studio di novembre, guardando al solo terzo trimestre, che anche i margini della distribuzione siano sotto pressione.
E nell’attuale fase di consolidamento del mercato libero, che spinge a rastrellare quote di mercato, mandando alle stelle i valori delle ultime acquisizioni, secondo alcune valutazioni, se si utilizzassero quegli stessi parametri, la valutazione di Ascotrade potrebbe spingersi anche a 500 milioni di euro. Dando munizioni fin che si vuole da giocare nelle gare d’ambito, vera scommessa sul futuro di Ascopiave. Ma anche qui non si registrano indicazioni che si sta valutando cosa fare.