Da epurato a «quarto petalo» Ascesa, caduta e resurrezione di Flavio, il politico dalle 7 vite
Attenzione a darlo per morto: Flavio Tosi ha già dimostrato di saper sopravvivere ai suoi menagrami. Uno per tutti, Umberto Bossi. Lo accusava di aver portato i fascisti nella Lega (e ora, per lo stesso motivo, ce l’ha con Matteo Salvini che ha fatto della Lega la nuova destra), di far danni con la sua civica (e pazienza se adesso, in Veneto, la Lista Zaia è il primo partito), di non amare le donne (intendendolo ovviamente alla sua maniera e cioè come un insulto), insomma, di essere «uno stronzo». Ma Bossi il 4 marzo potrebbe non essere candidato alle elezioni. Tosi sì.
Dipende da Silvio Berlusconi, da quanto riuscirà a proteggerlo dal veto dei leghisti che fedeli al motto «non c’è peggior nemico, di chi ti è stato amico» le stanno tentando tutte per farlo fuori. Lo stesso Berlusconi che in passato Tosi invitò con forza a farsi da parte («Non ci ha portato da nessuna parte, è imbarazzante») per lasciar spazio ai giovani come lui, che coltivava manifeste ambizioni da premier e già lanciava la sua sfida alle (fantomatiche) primarie del centrodestra. È il 2013. Tosi mette in piedi una fondazione («Ricostruiamo il Paese»), apre i suoi «Fari» in tutta Italia, detta la linea mandando in archivio la secessione e profetizzando lo sbarco della Lega al Sud. È al culmine di una cavalcata che l’ha visto, nel giro di vent’anni, diventare capogruppo della Lega a Verona, consigliere, capogruppo e potente assessore alla Sanità in Regione, sindaco di Verona due volte, segretario
nathional della Liga dopo l’eterno Gianpaolo Gobbo (che l’aveva sempre guardato con sospetto, come Bossi) e vice segretario federale con Salvini, alfiere del nuovo leader Roberto Maroni dopo la «notte delle scope» che ha defenestrato il Senatur e la vecchia guardia. Proprio Maroni, da poco eletto al Pirellone, è il «garante» del patto di non belligeranza tra Tosi e Salvini: il primo sarà il candidato premier; il secondo il nuovo segretario federale. Ma nel giro di due anni, tutto precipita. In un partito abituato all’uomo solo al comando, due delfini sono troppi. E in Veneto c’è pure Luca Zaia, che vive Tosi come una presenza ingombrante e insidiante. Le ragioni del cataclisma sono molte e ciascuno ha le sue (sintetizzando, la bulimia di potere di Tosi per Salvini e Zaia; il tradimento del patto del Pirellone per Tosi), l’epilogo è l’espulsione dell’allora sindaco di Verona dalla Lega. È il 10 marzo 2015. «È morto», giurano i leghisti, che ben conoscono la storia del loro partito: chi se ne va o viene messo alla porta è destinato all’oblio. Se è così, Tosi ci mette due mesi a risorgere: si candida a governatore proprio contro Zaia, con il partito nato dalla sua Fondazione, «Fare!», e conquista il 12% (262 mila voti), come il Movimento Cinque Stelle, portando a Palazzo Ferro Fini 5 consiglieri.
«Vabbè, ma adesso dove va? È morto» assicurano i leghisti. Ma lui, grazie ai parlamentari che gli sono rimasti fedeli, in particolare le tre senatrici - tra cui la sua compagna Patrizia Bisinella - in un Senato perennemente in bilico, acquista una centralità addirittura nazionale. L’allora premier Matteo Renzi lo vezzeggia, lui non gli vota la fiducia ma si schiera al suo fianco nella battaglia per il referendum costituzionale, «nel nome delle riforme» anche se c’è chi dice che la contropartita fosse in realtà il via libera al terzo mandato nella sua Verona. Che comunque non arriva. «Adesso sì che è morto!» ridacchiano i leghisti. Ma Tosi non molla. Candida a sindaco Bisinella, contro tutti, prende il 24% e va al ballottaggio al posto del Pd. I leghisti non ridono più tanto e gridano all’inciucio con i dem ma alla fine il loro Federico Sboarina (che un tempo stava con Tosi, come tutta la sua maggioranza) ce la fa. Sembra la fine, stavolta sul serio. La nuova giunta inizia a smontare pezzo a pezzo quel che resta del «tosismo», che a cascata viene giù anche in Regione (ma nonostante i tanti assalti, Tosi resta saldamente alla presidenza dell’autostrada A4).
«È morto», tentano di convincersi i leghisti. Ma non sembrano più così convinti. Tosi è rientrato nel centrodestra: se lo ritrovano in prima pagina su tutti i giornali, di nuovo, volto simbolo dei centristi corteggiati da Berlusconi. Candidato al parlamento. Magari domani perfino da qualche parte al governo. «Ma non era morto...?» chiediamo a un colonnello del Carroccio.
«Tasi va!». E giù scongiuri e toccatine apotropaiche.
La rottura È stato espulso dalla Lega il 10 marzo 2015