Occupati boom, mai così dal ‘77. Nodo precari
In Veneto scende anche la disoccupazione giovanile
La disoccupazione in VENEZIA Italia diminuisce e, contata alla fine di novembre, non c’è mai stata così tanta gente al lavoro dal 1977, cioè da quando l’Istat effettua le sue rilevazioni periodiche. In Veneto la tendenza è analoga, con la sola e non secondaria differenza che si parte da dati migliori (la disoccupazione è poco sotto il 6% contro un 11% medio nazionale) e con il rammarico che i numeri potrebbero essere addirittura migliori, «se solo fosse disponibile tutta la manodopera di cui le imprese vanno in cerca».
Così, almeno, la vede il presidente della Confartigianato regionale, Agostino Bonomo, il quale individua due cause di fondo per un handicap che si va facendo acuto da almeno un paio d’anni, e che evidentemente si fatica a superare. La prima sta nelle scelte formative non adeguate ai fabbisogni della produzione, la seconda risiede nell’incapacità di far incontrare persone che vorrebbero lavorare e aziende che vorrebbero assumerle. «Sono sicuro che lavoratori risultati in esubero in grandi gruppi della moda, per esempio, potrebbero incrociarsi bene con le esigenze dell’artigianato. Il fashion è un driver di sviluppo come lo sono la metalmeccanica, l’agroindustria o il legno, che di personale esperto e qualificato hanno oggi un concreto bisogno».
Eppure il tasso di disoccupazione cala anche per la fascia giovanile, quella che va dai 15 ai 24 anni, in Italia sceso al 32,7% (in Veneto siamo poco sopra il 18%) e cioè 7,2 punti in meno nel volgere di un solo anno. Mentre sono crollate le ore di cassa integrazione (- 57,1% sul 2016). Ma sono questi i dati che, più di altri, nascondono il trabocchetto. L’Istat dice poco di come lavora chi un impiego ce l’ha. Cioè se il suo contratto è stabile o scadrà di lì a qualche mese senza garanzie di rinnovo, o se comunque appartiene a quell’ampio ventaglio di rapporti «ballerini», per quanto legali, che non forniscono certezze per progetti di vita a medio termine. Tutte soluzioni contrattuali che nel 1977, cioè l’anno preso a confronto, non esistevano.
«Credo sia normale, quando si esce da un periodo di forte crisi, essere prudenti nel rinforzare l’organico – riflette su questo tema Bonomo – perché è necessario verificare se stiamo vivendo una ripresa strutturale oppure no. Assumere a tempo determinato, insomma, è più che comprensibile».
Di un «ottimismo che deve misurarsi con la realtà», nel leggere i dati Istat, parla perciò Christian Ferrari, segretario generale della Cgil del Veneto, il quale invita semplicemente a spostare l’unità di misura dal numero di addetti a quello delle ore lavorate. «Vedremo così che la somma delle ore è di gran lunga inferiore a 10 anni fa, proprio a causa della quantità di contratti a part time, a chiamata o quant’altro possiamo trovare nell’alveo del precariato. Dovessimo tradurre le ore che mancano in posti di lavoro full time equivalenti, scopriremmo che, rispetto al 1977, in Italia ne mancano 1,2 milioni». E il Veneto, aggiunge Ferrari, è uno spaccato fedele della situazione media italiana.
Se con le recenti leggi sul lavoro la politica intendeva comprimere la precarietà, «il
Bonomo E potrebbe andare meglio se le aziende trovassero manodopera
risultato ottenuto è opposto. Una delle conseguenze della frammentazione delle esperienze di lavoro sarà di non riuscire a formare il capitale umano di cui lo slancio tecnologico ha bisogno, mentre sarebbero necessari maggiori inserimenti di qualità nel mercato del lavoro. Per me – conclude il leader regionale della Cgil – la formula giusta è l’apprendistato moltiplicato per tre, facendo sparire stage e tirocini la cui efficacia è ad oggi ancora molto dubbia».
Perplessità simili, benché da un quadrante di pensiero ben lontano dal sindacato rosso, giungono anche da Maurizio Sacconi, già ministro trevigiano del Lavoro con il governo Berlusconi di dieci anni fa. Rispetto ai giovani, sottolinea Sacconi, «continuano a rimanere troppo lunghi i percorsi educativi, mentre i lavori dipendenti sono prevalentemente a termine, segnalando il persistere di un clima di bassa fiducia nel futuro». Bando, dunque, agli «entusiasmi pre-elettorali» agitati dalle tabelle dell’Istat. «Rimaniamo il Paese in Europa con il secondo peggiore tasso di occupazione – conclude l’ex ministro - che si colloca ancora al di sotto del 2008».
Di tenore opposto è l’opinione della conterranea Laura Puppato, senatrice del Pd. I dati Istat, sostiene, confermerebbero la bontà delle decisioni assunte in questa legislatura, «con un aumento continuo dei posti di lavoro. Siamo ritornati al 2008, ma con alcune importanti novità come il record di occupazione femminile che, se non è ancora ai livelli dei Paesi dell’Europa settentrionale, è significativo di un passaggio a una società più egualitaria tra uomini e donne».