«Lo show al veglione? Il vescova sa»
Fa discutere lo «show» di don Paolo Pasetto, prete di Marcellise, che al veglione si è esibito con capriole in chiesa. Piovono critiche. «Pagliaccio». Lui: «Ho l’ok del vescovo».
«Non giudicate secondo l’apparenza». Era Giovanni, 7:24. Gli effetti collaterali dell’apparenza, don Paolo Pasetto, li conosce bene. Vedi il ritrovarsi al centro di un articolo come quello uscito tre giorni fa sul quotidiano cattolico online «La nuova bussola quotidiana», sede a Monza, «un gruppo di giornalisti cattolici» accomunati «dalla passione per la fede» e dalla campagna «#salviamolenostrechiese». Titolo dell’articolo, «Sbando ecclesiale: chiesacirco e parroco-pagliaccio». Tema, quella «sfrontatezza liturgica» di don Paolo che «va avanti da tempo». Motore scatenante, un video in cui lui, durante la tradizionale cena di fine anno con le famiglie in difficoltà, «fa le capriole in chiesa». La chiesa è quella di Marcellise, unità pastorale di San Martino Buon Albergo, quattro chilometri dal paese e quattordici dalla città, circa settecento abitanti. Anni 43, veronese di Soave, capelli lunghi, barba idem, sandali ai piedi «perché mi ricordano sempre il valore dell’essenzialità», don Paolo è parroco dal 2012. In paese, dicono, c’è chi lo ama e chi no, zero vie di mezzo. Lui dice che «bisogna rimettere al centro della comunità i poveri, gli ultimi, gli emarginati, e diventare un po’ più umani, entrando in contatto con la carne sofferente delle persone».
Per andare oltre le apparenze, allora, bisogna fare un salto lì. Alla Chiesa di San Pietro in Cattedra. Dove il vescovo, monsignor Giuseppe Zenti, è già stato ospite e interlocutore: «Noi ci siamo impegnati ad avere più dialogo con l’unità pastorale, lui ha riconosciuto che le cose che si fanno qui a Marcellise non si possono fare altrove». E dove le foto della cena dell’ultimo dell’anno sono incorniciate su una parete della canonica. «È da cinque anni che organizziamo la cena con le famiglie in difficoltà, sono prevalentemente famiglie straniere ma anche di San Martino, non si paga e ognuno porta qualcosa», racconta Anna, una delle tante persone che danno una mano a don Paolo tra qui, le comunità di accoglienza a Fittà (Soave) e Colognola ai Colli e la cooperativa Multiforme che aiuta a trovare lavoro: «Ogni anno c’è un tema. Stavolta il Magnificat, dal Vangelo di Luca, “ha rovesciato i potenti dai troni…”. Dopo la cena c’è sempre una piccola rappresentazione, in questo caso una satira degli attacchi a don Paolo, per sdrammatizzare. Dalle 23.30 in poi si medita e riflette: altroché conto alla rovescia com’è stato scritto in quell’articolo…».
La chiesa dove don Paolo celebra è in cima a Marcellise. L’altare in mezzo alla chiesa: durante la messa i fedeli vi si dispongono intorno. «Deriva dal Concilio Vaticano II, è l’idea di avvicinare la gente al cuore della liturgia», fa lui. Di fianco l’altare, il modellino in legno di una barca, «riferimento ai migranti», e un Padre Nostro in arabo, «dono di una fedele che abbiamo conosciuto durante un viaggio in Palestina». Usa il plurale, don Paolo, perché intorno ha sempre un gruppo di volontari, ragazzi, ragazze, uomini, donne che gravitano intorno alla parrocchia per dare una mano, accogliere chi arriva, coltivare l’orto, preparare un pacussioni. sto, raccogliere alimenti da distribuire. La batteria piazzata di lato all’altare tradizionale, ad esempio, la suona un ragazzo arrivato dalla Mongolia due anni fa, uno di quelli che hanno trovato qui un tetto. Certo, non sono esattamente uno standard liturgico, le per- Così come gli interventi del gruppo biblico durante la messa. «Sì, mi piace dare spazio anche alle loro riflessioni, si tratta di preghiere libere, il diritto canonico dice che non si potrebbe ma è un modo per restituire alla comunità il suo ruolo di protagonista».
Il suo ruolo, nella vita, se l’è ritagliato anche lui, don Paolo. «Sono cresciuto nella parrocchia di Soave. Dopo i vent’anni ho iniziato le esperienze di servizio, aiuto, volontariato in strada, seguendo poveri o ragazzi che si facevano d’eroina. Nel ’99 ho lasciato le altre attività, il lavoro da ingegnere e le lezioni di chitarra, per dedicarmi a tutto ciò insieme agli altri volontari. Nel 2004 siamo andati a parlare col parroco di Soave dell’epoca, don Luigi Cottarelli, che poi sarebbe diventato economo della Diocesi e ora è parroco della Cattedrale di Verona: cercavamo un posto e lui ci ha suggerito di rimettere in piedi la canonica di Fittà, a Soave. Da lì abbiamo sviluppato realtà di sostegno e relazioni con chi si occupa di chi è in difficoltà, cioè cooperative, Sert, associazioni. Nel 2012 sono diventato prete, studiando proprio con Cottarelli, e il vescovo mi ha mandato qui a Marcellise». Quella Marcellise dove don Paolo Pasetto è quasi un prete carbonaro. «Fra “colleghi” che condividono questo tipo di sensibilità ci si trova spesso per confrontarsi. Uno di noi, don Bruno Pozzetti, amava definirci “i diversamenti preti”. Io credo che il Vangelo si annunci col modo di vivere, bontà, povertà, attenzione per gli altri». Il che suona molto in armonia con Papa Francesco. «Qualche segnale buono l’ha dato. Ma le cose che dice le vivevano già, prima di lui, don Milani e don Mazzolari». Quel Mazzolari che don Paolo Pasetto cita quasi a memoria: «Diceva che i poveri sono come i bambini: quando entrano in casa ti “destabilizzano”, però quanta energia portano…».
Sull’altare al centro Deriva dal Concilio Vaticano II, è l’idea di avvicinare la gente al cuore della liturgia