Italiano tra ricordi e ambizioni «A Verona ho lasciato il cuore ancora mi ferisce quell’addio»
Lasciai l’Hellas tra le polemiche, in realtà furono società e tecnico a mandarmi via: io sarei rimasto fino a fine carriera
Torno da mister dell’Arzignano per la sfida con la Virtus in serie D: ho soddisfazioni ma l’impegno è totale
Non chiamatelo ritorno. «Io da Verona non me ne sono mai andato davvero. Ci ho vissuto per 15 anni. Da un po’ mi sono fermato a Padova per la famiglia, ma da voi torno spesso». Vincenzo Italiano domenica sarà al Gavagnin di borgo Venezia con il suo Arzignano Chiampo. Contro la Virtus è scontro al vertice nel girone C della serie D. Oggi Italiano, 40 anni, allena e - a detta degli addetti ai lavori promette grandi cose anche lì: «Con l’Arzignano stiamo facendo qualcosa di straordinario. L’obiettivo erano i play off, invece siamo in lotta per la C». Del resto l’ex centrocampista di Verona (dal 1996 al 2007, con la breve parentesi al Genoa) e Chievo (2007-09) era un ragionatore anche in campo, facile intuirne una predisposizione per la panchina: «Ma allenare - dice - è un altro mestiere».
Serse Cosmi in effetti una volta disse che gli «allenatori in campo», i predestinati, non esistono...
«Ha ragione. Se vuoi allenare devi studiare e cambiare mentalità. Quando giochi finisci l’allenamento e fino al giorno dopo non ci pensi più. Oggi sotto la doccia ho già la testa all’allenamento successivo. Non stacco mai. Però io da calciatore ho avuto quattro grandi maestri». Quali? «Prandelli in primis. Avevo 20 anni e m’impressionò la sua metodologia. Era un innovatore. Pensai: “Un giorno vorrei essere così anch’io”. Da allora presi l’abitudine di segnarmi le nozioni tattiche e i discorsi motivazionali dei miei allenatori. Devo molto anche a Malesani, Delneri e Iachini». Lei è un doppio ex. Scelga: Verona o Chievo? «Al Chievo sono stato bene e non mi sono fatto mancare
niente, comprese una retrocessione e una promozione. Ma l’Hellas è l’Hellas, ce l’ho nel cuore, lo seguo sempre. Lì mi hanno preso da ragazzino e ci ho passato 11 anni. Mi notò Maddè, poi Foschi scese a Trapani e chiuse la trattativa in un batter d’occhio. Col Verona ho giocato quasi 300 partite, ci ho lasciato caviglie e ginocchia e poi quella curva straordinaria... Peccato per il finale». Se ne andò tra le polemiche...
«Ci sono momenti in cui la gente, in buona fede, non capisce. Il mio addio non dipese da me. La società mi mise fuori rosa per cedermi, doveva abbattere i costi. Poi mi ridussi abbondantemente lo stipendio, prolungai il contratto e facendo finta di niente tornai in campo, giocando bene. Ma a gennaio venni ceduto al Genoa perché il Verona aveva bisogno di soldi. La stagione dopo rientrai, ma l’allenatore (Ficcadenti, ndr) mi metteva in panchina o in tribuna,
mentre la società spingeva affinché me ne andassi. Andai via a malincuore. All’Hellas avrei voluto chiudere la carriera. È un sogno che non ho realizzato. Non mi hanno permesso di realizzarlo». Magari un giorno ci torna da allenatore...
«Mi piacerebbe, è normale. Anche se di strada ancora ne devo fare. Ma certe accuse mi hanno fatto male. E non vorrei che nell’eventualità qualcuno storcesse il naso». Il Verona di oggi?
«È dura in questo momento. E occhio al Benevento che può essere il Crotone dell’anno scorso. La quota salvezza è a 37-38. Ora la priorità è restare in A, ma il Verona deve ambire ad altri palcoscenici. Merita i livelli di Udinese, Fiorentina e Atalanta». C’è un giocatore che le somiglia?
«Mi piace Bessa, anche se io ero diverso. Lui è una mezz’ala di grande qualità e dinamismo. Io giocavo più indietro, avessi avuto più libertà...». E non si fosse rotto il crociato a 21 anni...
«Mi voleva l’Inter e quell’infortunio mi ha penalizzato. Non sono mai guarito completamente e il dolore me lo sono portato dietro. Ma sono contento della mia carriera».