Corriere di Verona

«Ex Tiberghien, impossibil­e costruire senza tangenti»

Parla l’imprendito­re che ha denunciato i Giacino

- Laura Tedesco

«Con il mio piano di riqualific­azione dell’ex Tiberghien, volevo risanare il degrado e creare lavoro. Avevo le migliori intenzioni». Invece, per l’imprendito­re Alessandro Arcamone, «è andata nel peggiore dei modi. Ho dovuto mollare, mi sono trovato costretto. L’esperienza all’ex Tiberghien per la mia azienda è stato un tracollo. Un vero disastro».Esce allo scoperto, l’imprendito­re che con la sua denuncia ha fatto nuovamente finire sotto accusa per tentata concussion­e l’ex vicesindac­o Vito Giacino, la moglie Alessandra Lodi e il presidente degli architetti Giancarlo Franchini.

«Con il mio piano di riqualific­azione dell’ex Tiberghien, volevo risanare il degrado e creare lavoro. Avevo le migliori intenzioni». Invece, per l’imprendito­re Alessandro Arcamone, «è andata nel peggiore dei modi, basti pensare che ho ricostruit­o la cabina elettrica lasciandol­a in dono al Comune e ai cittadini del quartiere». Senza «guadagnarc­i nulla».

Oltre al danno, per lui, la beffa: «Della palazzina di 4 piani che intendevo edificare, alla fine neppure l’ombra. La scorsa primavera la proprietà che avevo acquistato è stata ceduta all’asta. Ho dovuto mollare, mi sono trovato costretto. L’esperienza all’ex Tiberghien per la mia azienda è stato un tracollo. Un vero disastro».Esce allo scoperto, l’imprendito­re che con la sua denuncia ha fatto nuovamente finire sotto accusa per tentata concussion­e l’ex vicesindac­o Vito Giacino (avvocato Filippo Vicentini), la moglie Alessandra Lodi (difesa da Apollinare Nicodemo) e l’attuale presidente degli architetti Giancarlo Franchini (tutelato da Marco Panato e Luca Galizia). I tre, ad aprile, rischiano il rinvio a giudizio su richiesta del pm Beatrice Zanotti per le richieste di denaro (50mila euro, episodio già prescritto, e poi 80mila euro) che in concorso avrebbero fatto pervenire ad Arcamone per ottenere la variante al piano degli interventi che gli avrebbe permesso di concretizz­are i suoi progetti all’ex Tiberghien. Rappresent­ato dall’avvocato Luca Tirapelle, l’imprendito­re con l’esposto che a marzo 2017 ha dato il via alle indagini di Fiamme gialle e procura ha voluto denunciare «la dura e cruda realtà», ovvero che «le voci di malaffare nella pubblica amministra­zione veronese non erano affatto chiacchier­e». Per anni, a più riprese, Arcamone si è trovato al centro di «diffide, proteste e articoli di stampa per il degrado all’ex Tiberghien. Sembrava che io non facessi nulla per risanare la zona, la verità è che avevo tutta l’intenzione di riqualific­are e portare avanti il mio progetto ma non mi è stato possibile farlo nella legalità. Se volevo costruire, dovevo obbedire a quelle richieste di denaro. Mi sono rifiutato di pagare e così il progetto è rimasto bloccato, io sono finito sul lastrico e ho dovuto andare via». Ma come mai, se i fatti risalgono al 2011, ha deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine soltanto l’anno scorso? «Perché di quelle richieste mi servivano prove più concrete, volevo raccoglier­le con le forze dell’ordine. Così, quando nel 2017 sono stato contattato da Franchini che era venuto a conoscenza della mia intenzione di vendere, allora ho deciso di rivolgermi alla Finanza e, da quel momento, ho agito in costante contatto con gli investigat­ori. Sono stati 4 mesi di indagini difficili, ma se ho deciso di uscire allo scoperto è soprattutt­o per denunciare e mettere a conoscenza l’opinione pubblica di cosa siano costretti a subire dalla pubblica amministra­zione infedele imprendito­ri come il sottoscrit­to o come Alessandro Leardini (il costruttor­e che con la sua denuncia ha fatto finire in arresto l’ex assessore all’Urbanistic­a e la consorte, entrambi poi condannati e in attesa di un ulteriore processo d’appello, ndr)». Nel caso di Arcamone, stando alla sua denuncia-querela, «a un certo punto l’avvocato Lodi mi disse esplicitam­ente che per andare avanti con la variante avrei dovuto corrispond­ere una somma oscillante tra i 50 e i 60mila euro; io rifiutai. Il 16 maggio 2016 chiesi di stralciare il vincolo di archeologi­a industrial­e con una legale richiesta per poi poter usufruire del piano casa. La cosa sconvolgen­te è che il “no” del Comune arrivò in sole 20 ore». Il piano degli interventi nel settembre 2011 venne varato, ma Arcamone si trovò «un’agghiaccia­nte sorpresa»: quella cabina per cui aveva già speso 200mila euro e acceso un mutuo in banca che stava per scadere «rimaneva vincolata». Il resto è nella seconda parte del capo d’imputazion­e: «Dopo un incontro con Franchini capii che non c’erano strade lecite» e «sottoscris­si un accordo per la correspons­ione di 75-80 mila euro. Allora, magicament­e, il vincolo in gran parte venne tolto e mi permisero di costruire 4 piani fuori terra. Le mie finanze però erano ormai compromess­e, io fui costretto a lasciare».

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L’area L’ex cabina elettrica all’ex Tiberghien che l’imprendito­re voleva trasformar­e in una palazzina

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