«Il cipiglio del gufo» I perdenti del nuovo Tiziano Scarpa
Nel nuovo romanzo di Tiziano Scarpa le storie di tre uomini senza qualità impantanati nella Venezia di oggi
È in libreria «Il cipiglio del gufo» (Einaudi, Supercoralli, € 21) di Tiziano Scarpa. Oggi alle 18.30 al punto Einaudi di Venezia (San Polo 2583) lo scrittore veneziano leggerà le prime pagine del romanzo.
«Questo è un romanzo» rassicura Tiziano Scarpa in nota e poi, a evitare equivoci, spiega: la storia, l’ambientazione, i personaggi, i loro nomi e cognomi, quello che succede dentro e fuori di loro: è tutto inventato».
Davvero di romanzi così, dove «non c’è nessun riferimento, nessuna insinuazione o allusione a persone esistenti o fatti realmente accaduti», non ce ne sono stati mai tanti, ma ancor meno di questi tempi così intrisi di autobiografismo, di volontà di testimonianza, di pretesa di giudicare azioni e comportamenti altrui; anche se le storie dei personaggi de Il cipiglio del gufo
( Einaudi) appaiono subito assai meno «inventate» di quanto si proclamino e ricalchino puntualmente le esistenze mal riuscite di alcuni maturi giovanotti alle prese con ambizioni quotidianamente frustrate.
Scarpa non sceglie un alter ego cui affidare un ruolo «esemplare», anzi subito moltiplica il protagonista per tre in modo che, per un verso, non possa confondersi con gli altri e, per l’altro, suggerisca qualche elemento di affinità, che riconduce a due temi centrali nel romanzo: da un lato a un rapporto irrisolto ma ineludibile con la scrittura, che disegna l’orizzonte cui guardano attenti, e dall’altro gli imperativi di una vita sessuale tanto carica di insoddisfazioni, quanto aperta a una varietà di comportamenti, come, sinora, non era mai stato.
Le tre storie procedono parallele - un capitolo per ciascuna - per almeno larga parte del libro, riflettendosi l’una nell’altra senza integrarsi in un disegno ordinato: il radiotelecronista Nereo Rossi giunto alle soglie della vecchiaia sente incombergli la minaccia di un Alzheimer devastante, dalla quale al più ci si difende raccogliendo le tracce della memoria personale prima che si dissolvano nel vuoto impenetrabile del cervello, e quindi con l’aiuto di un giovane ghostwriter prova a ordinare i suoi ricordi senza sapere fino in fondo perché, visto che vere o false le cose comunque non corrispondono al vissuto e che quattro mani complicano ulteriormente qualsiasi coerenza del disegno autobiografico nel quale anche l’altro inevitabilmente si specchia; il prof. Cazzavillan insegue il successo letterario, sogna un suo best seller che gli offra un autentico benessere economico e insieme un ruolo nella scuola e nella società, che invece tendono ad appiattirlo in una mediocrità senza riscatto: paradossalmente le cose andranno come avrebbe voluto, ma si rivelerà affatto incapace di gestire il successo venendone invece travolto, fino al punto di lasciare umiliato la scuola; infine Carletto Zen, il più giovane e sbandato, dovrà prendere atto di possedere una straordinaria capacità seduttiva, un irresistibile fascino erotico, che agirà come una forza straniante che scompone la sua identità riducendolo ogni volta in un ruolo passivo, dove alla vitalità sessuale non corrisponde una coscienza di sé, un ruolo riconosciuto, dovendo accontentarsi di una frustrante comparsata.
Tre uomini senza qualità, ma non privi di talenti e fortuna si affannano a vivere a certificazione della loro sconfitta, tanto più se la speranza riaccende l’ambizione.
Il mondo nel quale sono capitati quasi per caso, in stato di semi incoscienza, quasi inebetiti da una cultura che serve a poco o a nulla, è esattamente a loro misura, nulla toglie loro e nulla offre di gratificante: Venezia stessa è preda di un’invasione turistica, ma neppure immagina come sottrarsi a quelle violenza devastante, e i loro percorsi, per quanto autonomi e diversi, finiscono sempre in una sorta di impantanamento che li frena e li inguaia, al punto che quel poco di buono che rivelano non basta a restituire qualche segno di vitalità o di ottimismo.
I personaggi che entrano in scena con caratteri in parte diversi dagli altri finiscono assimilati in questo clima paludoso o lagunare, in questa precarietà senza uscita, in questa provvisorio agitarsi della società, ma aspettano irrimediabilmente una fine che li sottragga al caso: Scarpa è bravo a mettere la sordina a ogni attesa, ma anche a lasciarci irretire in qualche speranza in un mondo così non può che andare a finir male.