«L’uomo seme» Storie di donne contro la guerra
Al debutto la settimana scorsa al Teatro dell’Arte Triennale di Milano, arriva al Camploy giovedì, alle 20.45, «L’uomo seme», scelto per il festival Are We Human dell’associazione Exp e inserito nella rassegna «l’Altro Teatro». Un racconto di scena ideato, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco, tratto dal testo (e dalla storia vera) di Violette Ailhaud per una produzione Teatro Franco Parenti. L’attrice, considerata tra le interpreti teatrali più raffinate, nel cinema in ruoli drammatici e comici, l’ultimo in «Quo vado», nuovo volto di Livia, la fidanzata di Montalbano nella fortunata serie televisiva, da un paio di anni si sta mettendo alla prova con successo anche nella regia teatrale. A cosa si deve la scelta di questa storia? «È una storia bellissima – risponde l’attrice -, di cui mi sono innamorata fin dalla prima lettura, una storia sorprendente scritta in una lingua semplicissima che racconta del patto di una comunità di donne in un villaggio dell’Alta Provenza a metà ‘800, rimaste senza i loro uomini dopo una guerra. In loro assenza le donne si sono assunte tutte le responsabilità, sanno cavarsela da sole, ma vogliono mantenere in vita la loro comunità e decidono che il primo uomo che comparirà nel villaggio sarà di tutte. È un memoriale scritto a molti anni di distanza da una delle protagoniste che affida a un notaio il suo racconto in una busta, chiedendogli che sia aperta solo dopo la sua morte dalla sua discendente più giovane». Una storia che sembra poter insegnare qualcosa in relazione alle vicende attuali? «Un’osservazione più che comprensibile dato il fronteggiarsi dopo quanto emerso in tema di molestie - prosegue Bergamasco - ma è necessario andare oltre. Da tre anni lavoro a questo progetto, non c’è stata quindi una motivazione venuta da temi di attualità emersi successivamente, ma questa storia può insegnare qualcosa: il rapporto tra maschile e femminile è vissuto in maniera complementare, come in un afflato, le donne (interpretate dal gruppo Faraualla) sono in grado di gestire la vita, ma sentono il desiderio di ritrovare il maschile. Rodolfo Rossi interpreta l’uomo che arriva e comprende la loro necessità, non viene trattato come uomo oggetto, ma entra a far parte della comunità dove, pur nel massimo dolore, c’è una forte spinta vitale, solare, femminile, che viene condivisa dalla figura maschile. Ne uscirà dopo due anni nei quali resta come in una bolla fuori dal tempo». Una comunanza di intenti che non è utopica visto che la storia è accaduta veramente… «Questo è quello che ci è raccontato, non sono interessata a sapere se è la storia è vera o no, ciò che è certo è che è assolutamente verosimile».