La nuova sfida di Tosi sotto lo scudocrociato
L’ultima sfida dell’ex sindaco, che sogna l’exploit al proporzionale nella sua Verona
Flavio Tosi non ha mai nascosto l’ammirazione per i politici democristiani della Prima Repubblica. Adesso, per l’ultima sfida in vista delle elezioni politiche, si ritrova a correre sotto le insegne dello scudocrociato. Ma i suoi toni, specie contro Salvini, sono tutt’altro che «democristiani».
Flavio Tosi non ha mai nascosto l’ammirazione per i politici democristiani della Prima Repubblica. Quella classe politica, specialmente dopo lo scoppio di tangentopoli, non ha goduto di buona reputazione. Eppure, per Tosi, sono stato un modello da seguire e, per certi versi da imitare, anche a costo di venir accostato a una tradizione non proprio edificante di gestione del potere. +
«Dicono i nemici che è un leghista-democristiano. “È vero”, ride Flavio Tosi, “Mica è un’offesa. Del resto la Dc, a parte le degenerazioni finali, fece grandi l’Italia e il Veneto”. E cosa ha imparato dai dorotei? A fregarsene delle accuse. Clientelare? Nepotista? Poltronista? “Amenità”. Non c’è “imputazione” di cui non si liberi facendo spallucce». Scriveva così Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, prima delle amministrative 2012 che Tosi avrebbe stravinto con la sua lista a percentuali da Dc degli anni d’oro.
Da allora, Tosi non è più leghista e più di qualche voto, per strada, l’ha perso. Ha trovato, però, all’alba delle elezioni politiche, l’abbraccio con lo Scudo Crociato, l’ultima reliquia di quella che un tempo per il suo potere pervasivo era chiamata la «Balena Bianca». Il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, lo ha portato in dote a «Noi per l’Italia», di cui Tosi è tra i soci fondatori: la cosiddetta «quarta gamba» fortemente voluta da Silvio Berlusconi, convinto che questo manipolo eterogeno di colonnelli locali senza grossi eserciti alle spalle ma accreditati ancora di un certo consenso sul territorio, possano essere determinanti per la vittoria del centrodestra.
Dal punto di vista di Tosi, la posta in gioco è differente. Non si candiderà in un collegio uninominale (la Lega per altro non l’avrebbe mai permesso) ma, salvo sorprese, come capolista a Verona nel proporzionale per «Noi per l’Italia» che, se non supererà il 3 per cento a livello nazionale, non eleggerà nessun parlamentare. D’altra parte, Tosi non ha mai nascosto che andare a Roma non gli interessi granché, la sua ottica rimane puntata su Verona. In una replica della sfida a suon di preferenze alle europee del 2014 con Salvini che aveva per oggetto la leadership in Veneto della Lega (da cui l’anno successivo sarebbe stato espulso), l’ex sindaco vuole ottenere nella sua città un voto più degli altri, o comunque essere protagonista di un exploit. Vuole dimostrare che a Verona è ancora (il più) forte, che il suo «brand» personale può essere determinante. E se per riuscirci serve correre sotto le insegne dello scudocrociato, tanto meglio.
Oggi, se si dice di qualcuno che è un «democristiano», è probabilmente per indicarne i toni felpati, i bizantinismi linguistici e, in definitiva, l’arte di parlare senza mai davvero prender posizione. Di questo, Tosi non può certo essere accusato. I suoi attacchi all’amministrazione Sboarina da una parte e a Matteo Salvini dall’altra sono stati, nelle ultime settimane, quasi quotidiani. «È normale che all’interno di una coalizione ci si scontri su alcuni punti. Critico le sparate di Salvini così come critico la sinistra delle tasse e della burocrazia», dice adesso Tosi.
La verità è che Tosi ha compreso meglio di altri che in un sistema elettorale prevalentemente proporzionale come quello con cui si voterà, i voti si conquistano sgomitando in casa propria. La sua ultima scommessa è, in definitiva, anche l’ultima di una serie di prove di forze con cui, dal 2012 in avanti, ha voluto pesarsi all’interno del centrodestra veronese e veneto. Ultimamente non gli è andata troppo bene. Ma Tosi non punta certo a «morire» da democristiano. Semmai, da democristiano, a risorgere.