Troppe piscine «Il sistema non regge più»
Veneto si sono costruite troppe piscine, e mantenerle costa sempre di più. Questo a fronte di ingressi in calo. Federnuoto lancia l’allarme.
Più impianti sportivi ci sono meglio è perché ci saranno più persone di ogni età invogliate a praticare sport con le ben note ricadute in termini di qualità della vita ed una attenuazione della spesa sanitaria. La teoria vale in tutto il mondo, con la condizione necessaria che ci sia equilibrio. Altrimenti, in un’ottica squisitamente aziendale, l’investimento è sbagliato e in Veneto, per le piscine, l’equilibrio è saltato da un pezzo. Se ne sono costruite troppe, mantenerle costa sempre di più. Frequentarle anche, e la popolazione, intanto, cala.
L’allarme è stato lanciato ieri, a Preganziol, nel corso di un convegno promosso da Assonuoto, L’Associazione regionale dei gestori di piscine, e Fin Veneto, il comitato regionale della federazione nuoto. Un incontro in cui si è scattata la fotografia dell’esistente, con almeno un impianto su tre in pesante sofferenza e con una lenta ma continua moltiplicazione di strutture che chiudono, ma non si è riusciti a mettere a fuoco una soluzione. Forse, è stata un’ipotesi, se vi fosse lo sport fra le deleghe che il Veneto potrebbe ottenere nella trattativa sull’autonomia, qualcosa in più da fonte pubblica, per soccorrere il settore, magari arriverebbe. Ma vediamo i numeri, tenendo presente che la simulazione della sostenibilità economica proposta è stata prodotta dal Coni prima del 2008, anno funesto perché coincide con l’inizio della crisi finanziaria mondiale. Per stare in piedi, si calcolava, un impianto pubblico per il nuoto deve incassare in biglietti e abbonamenti almeno un milione di euro l’anno, visto che per servire mediamente 38 mila utenti in un raggio di 10 chilometri i costi di gestione vanno a 985 mila euro.
Insomma, per quanto minimo, un utile c’è. Però dieci anni fa si ragionava su una rete regionale di una cinquantina di piscine mentre oggi sono raddoppiate. Se nel 2008 in Veneto sono nati 576 mila bambini nel 2016 i fiocchi rosa e azzurri messi insieme sono stati 104 mila in meno. In sostanza la media di utenti per impianto è scesa al di sotto dei 10 mila, anzi. Nel Trevigiano, provincia con un bacino di 195 mila abitanti, i nuotatori abituali medi sono 8.500 per ciascuna struttura. Mentre, sempre nell’ultimo decennio, bollette di acqua, energia elettrica e gas sono aumentate dal 38% al 57%. Come può essere avvenuto tutto questo?
Roberto Cognonato, presidente di Fin Veneto, tenta un’analisi ricordando che molto spesso la progettazione degli impianti, non di rado concordata in una sinergia pubblico-privato, è iniziata prima del grande freddo della crisi, cioè quando non si sarebbe immaginato, ad esempio, un crollo degli abbonamenti semplicemente per la flessione della capacità di spesa delle famiglie. «La crisi in questo settore è arrivata in ritardo – spiega Cognonato - e quando ha cominciato a farsi sentire i gestori hanno dovuto fare i conti non solo con il calo degli ingressi ma anche con un’eccessiva concentrazione di strutture». «Fino a quarant’anni fa – si accoda Alessandro Valentini, presidente di Assonuoto - le società si preoccupavano solamente di seguire e sviluppare le attività sportive. All’inizio degli anni Duemila le amministrazioni comunali non sono state più in grado di sostenere i costi di manutenzione straordinaria e molte società sportive se ne sono assunte l’onere, sottoscrivendo piani finanziari molto impegnativi in cambio di un allungamento della convenzione stipulata con il municipio. La nostra regione non necessita di nuovi impianti, semmai di investire sugli esistenti, per garantire la continuità di un servizio alla comunità e la tenuta del movimento sportivo».