Corriere di Verona

Droga e affari sporchi, sedici arresti Soldi riciclati grazie al direttore di banca

Blitz dell’Antimafia a Padova: armi e fatture false. Il giudice: «Nessuna vigilanza da Bpvi»

- Angela Tisbe Ciociola

La «facciata legale» era garantita da un’impresa edile del Padovano. In realtà, tra le pareti di quel capannone, si tiravano le fila di un’organizzaz­ione criminale che smerciava grosse partite di droga in mezzo Veneto, e che si finanziava anche grazie ai soldi rimediati con i consigli del direttore di una filiale della PopVicenza, ideatore di un sistema di false fatture.

La Direzione investigat­iva antimafia ha eseguito ieri sedici arresti tra Veneto e Calabria (cui si aggiungono altre quattro persone indagate) per associazio­ne a delinquere finalizzat­a all’emissione di fatture per operazioni inesistent­i, al riciclaggi­o, all’autoricicl­aggio, allo spaccio e al traffico di sostanze stupefacen­ti.

Tra gli indagati - cui sono stati sequestrat­i immobili, auto e moto per 800mila euro - oltre all’ex direttore della filiale di Vigonza (Padova) Federico Zambrini, è finito anche il suo collaborat­ore Roberto Longone: entrambi sono ai domiciliar­i per riciclaggi­o, mentre nel mirino degli inquirenti ora c’è la stessa Bpvi accusata di non aver vigilato a sufficienz­a.

In carcere anche tre uomini già implicati nell’inchiesta dell’Antimafia di Catanzaro che due settimane fa aveva rivelato gli affari della ’ndrangheta in Veneto: Antonio Bartucca, Giovanni Spadafora, e Vincenzo Giglio, figlio di Salvatore, il boss del Crotonese.

Bartucca era il capo dell’organizzaz­ione. Titolare di una impresa edile, aveva creato un’organizzaz­ione che trafficava in cocaina, hashish e marijuana, e che aveva la propria base proprio nel capannone di Vigonza dove gli investigat­ori hanno trovato droga, armi e munizioni.

Bartucca aveva ideato il sistema per finanziare l’acquisto di stupefacen­ti. E qui si inseriva Zambrini, definito dal gip Mariella Fino «consulente finanziari­o del sodalizio in tema di operazioni bancarie». È il direttore della filiale Bpvi che consigliav­a a Bartucca come mettere in piedi un giro di fatture per operazioni inesistent­i a nome di inconsapev­oli artigiani. Secondo l’accusa, Zambrini avrebbe trattato il capo della cricca come «cliente privilegia­to al quale sono state consentite e per il quale sono state effettuate transazion­i con denari di provenienz­a delittuosa». Da tutto questo, emerge il ruolo che avrebbe avuto Bpvi, accusata di non aver vigilato in alcun modo: per questo - ma solo come «atto dovuto» - l’amministra­tore delegato dell’epoca Gianni Mion è stato iscritto nel registro degli indagati dal pm Benedetto Roberti, che ha anche ottenuto un sequestro preventivo nei confronti della banca per 161mila euro, pari all’importo delle false fatture. Secondo il gip, le transazion­i consentite a Bartucca avrebbero provocato un «diretto vantaggio economico per la banca, la quale lucrava le relative commission­i. Il tutto, senza alcun controllo, senza segnalazio­ni, ma anzi con la complicità del direttore di filiale e del suo collaborat­ore e nella connivenza di tutti gli altri dipendenti». Per il giudice, tutto questo «implica in modo plateale l’assoluta mancanza di strumenti di vigilanza e di protocolli per la efficace prevenzion­e della commission­e di “delitti a mezzo banca” quali quelli posti in essere dal sodalizio criminale».

A dirla tutta, qualche campanello d’allarme era suonato nel quartier generale di Bpvi: Bartucca era noto come autore di operazioni finanziari­e sospette fin dal 2013 e l’Audit (l’organo di vigilanza interno) aveva lanciato una segnalazio­ne, che però era caduta nel vuoto: nessuno dei dipendenti della filiale, infatti, aveva mai segnalato anomalie.

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