Commercio, volano gli ipermercati «Ma Internet li mette in discussione»
Meno negozi di vicinato e più iper e centri commerciali. Ma intanto le vendite on-line che escono dalla dimensione di nicchia e accelerano a velocità sorprendenti. È un quadro che impone il dovere di una riflessione e che, per alcuni osservatori, si presta ad essere occasione di laboratorio per individuare soluzioni nuove, in grado di spiazzare i format imposti dai colossi della grande distribuzione. A patto che gli operatori locali non si riducano a fare i polli di Renzo. L’input per una nuova discussione sul futuro del commercio è arrivato ieri da un Focus del Centro studi di Confcommercio Veneto che ha usato i numeri del ministero per lo Sviluppo economico per analizzare ciò che è successo in regione fra il 2013 ed il 2016. Confermando la tendenza sotto gli occhi di tutti: se i piccoli negozi tradizionali nei centri abitati continuano ad essere la maggioranza (il 65%) delle imprese del commercio la loro diminuzione in quattro anni è stata del 5% abbondante, la Gdo è salita ancora di 10 punti e l’utilizzo della rete per fare acquisti è cresciuto del 36% fino a diventare una consuetudine.
Con tuttavia un terzo incomodo. Che secondo il pronostico di Massimo Zanon, presidente della Confcommercio regionale, «se l’e-commerce continuerà di questo passo anche la crescita delle grandi superfici di vendita sarà messa in discussione». Pure se lo strumento «non sostituirà il ruolo dei negozi configurandosi piuttosto come un canale in più, che integra e rafforza il loro ruolo». Diventa a questo punto importante, conclude il presidente, «non subire il cambiamento, ma governarlo assieme alle istituzioni, con le quali stiamo lavorando da tempo per arrivare a un sistema distributivo più equilibrato e per avviare iniziative che restituiscano ai centri urbani il ruolo di poli aggregativi». Qualcosa di sperimentale in questo senso si sta muovendo ad esempio a Conegliano, città che sta cercando una alchimia ragionevole fra i tradizionali negozi del centro urbano, in sofferenza, un ipermercato ed un parco commerciale. «Con l’Ascom locale abbiamo contribuito ad avviare un tavolo fra più operatori – spiega Bruno Barel, avvocato trevigiano che si occupa da qualche anno anche di temi legati alla sostenibilità territoriale – per verificare la possibilità di creare una rete in cui le diverse parti possano contribuire a rendere commercialmente attrattiva la città. Una ricetta non c’è, nell’umiltà di un laboratorio è già importante che si riesca a mettersi in gioco di fronte a nuove sfide, senza innescare piccole beghe interne alla categoria».
Ragionare in termini di microdistretto, dunque, senza cercare alibi negli effetti dell’e-commerce che penalizza trasversalmente tutti e, casomai, più pesantemente i grandi operatori. E senza demonizzare necessariamente la stessa Gdo. «Nel vuoto cosmico di spazi tradizionali di aggregazione, se si esclude l’osteria, il fatto di avere occasioni d’incontro nei luoghi in cui vai a fare la spesa genera un piccolo polo di vita sociale che risponde ad un’esigenza reale di prevenzione dell’isolamento». La chiusura dei piccoli negozi rilevata da Confcommercio Veneto, in ogni caso, è un dato messo in discussione, almeno per quanto riguarda il segmento alimentare, da Paul Klotz, presidente di Despar Italia e amministratore delegato di Aspiag. Anzi, il ritorno alla piccola superficie pare una soluzione alla quale anche i “big” stanno guardando. «Il nostro gruppo ora gestisce 250 metri quadrati in Piazza della Frutta, a Padova, prima seguito da un piccolo commerciante. Sempre di più il cliente cerca un luogo vicino a casa nel quale poter fare la spesa velocemente e acquistare prodotti di qualità. Se molti piccoli chiudono altrettanti aprono».