«Gay e censura, autogol per Verona»
Il Comune e lo slogan #sposachivuoi fatto rimuovere. L’Arcigay: segnaleremo la città
Verona è tornata all’etichetta di città di censure, dopo la vicenda dello slogan #sposachivuoi che il Comune ha fatto rimuovere da uno stand alla rassegna Verona Sposi all’Arsenale. E se dall’Arcigay promettono che ora «segnaleremo la cosa all’Unar», si temono anche ripercussioni sul turismo: «erona sarà sotto accusa come città non gay-friendly». L’assessore Neri ribadisce: «Non siamo contro alle unioni civili, ma ai matrimoni gay».
La storia è rimbalzata ovunque. Tanto che Silvia Cassini, veronese di Soave, impiegata con l’hobby di organizzare matrimoni, tra i 70 espositori alla fiera «Verona Sposi», s’è sentita di pubblicare un ringraziamento, a stand chiuso, domenica sera, sulla sua pagina Facebook, dopo essere stata sommersa di messaggi di solidarietà: «Io so solo che quando si ama non è mai uno sbaglio … grazie Verona per il calore che mi hai fatto sentire e che ha sconfitto la bufera di questi giorni». A pochi giorni da Dolcemente in Love - Verona in Love, 14-18 febbraio, l’evento che la evoca come Città dell’Amore, Verona è tornata all’etichetta di città di censure. La storia è dello scorso weekend. A Verona Sposi, ospitata dall’ex Arsenale di proprietà del Comune, lo slogan dello stand di Cassini recitava «#sposachivuoi» e il contorno dell’immagine pubblicitaria, al centro Barbie e Ken vestiti da sposi, erano due Ken in smoking e due Barbie entrambe in abito nuziale. Proteste dal Popolo della Famiglia. E l’assessore al Patrimonio, Edi Maria Neri, a chiedere di cancellare lo slogan dallo stand «perché contrario alla famiglia tradizionale cui si rifà quest’amministrazione». Da lì la polemica e il dilagare della notizia. Un po’ com’era successo in occasione dell’ultimo Tocatì quando il Comune, dopo l’attacco dello stesso Popolo della Famiglia, fece cancellare la Biblioteca Vivente, l’evento in cui persone reali fanno la parte di libri che un lettore sceglie in base ai titoli, in quel caso dal chiaro riferimento all’orientamento sessuale, da «Diversamente amare» a «Quando ero frocio», da «Semplicemente gay» a «Lesbica e va bene così», tutto materiale che per la giunta Sboarina risultava «inadeguato al messaggio culturale del festival dei giochi di strada».
Rimbalzata dovunque, allora, la polemica, in una Verona da 79 unioni civili fra il giugno 2016 e oggi, continua a far discutere. Per il professor Mario Allegri, ex docente di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Verona, siamo di fronte alla «dimostrazione di quanta poca cultura ci sia nella classe politica, perché parliamo di una città che si dichiara Città dell’Amore richiamandosi a Giulietta e Romeo di Shakespeare ma ignorando, ad esempio, come certi sonetti del grande poeta abbiano tematiche o intenzioni omossessuali: cosa dovremmo fare, allora, vietare il Bardo? Tra l’altro la richiesta di cancellare quello slogan è da fessi: se il Comune non l’avesse fatto, di quel cartello non se ne sarebbe accorto nessuno, ora invece siamo sui giornali come città intollerante e razzista». Chi l’ha ideato, quel cartello, cioè la già citata Cassini, racconta al telefono: « La cosa che mi dà fastidio è che l’assessore Neri non si sia nemmeno presentata allo stand, o nemmeno m’abbia chiamata per telefono. In tutte le altre fiere sul matrimonio, in Italia, non ci sono mai stati problemi simili».
Il problema è anche d’immagine. A dirlo sono realtà come l’Arcigay Verona, ad esempio, la cui presidente, Laura Pesce, riflette: «A Verona si respira un clima di repressione preoccupante. Lo slogan “#sposachivuoi” prendeva chiaramente atto di una realtà già scritta nei cuori della gente oltre che nella legge: uomini e donne di questo Paese oggi si sposano, etero, gay, lesbiche o bisessuali che siano, indipendentemente dal fatto che lo facciano con matrimoni o unioni civili. Negarlo è pura cecità. Segnaleremo la cosa all’Unar (l’Ufficio anti-discriminazioni razziali del ministero delle Pari Opportunità, ndr) ma non faremo manifestazioni di protesta. Di certo, anche a livello commerciale, per una città che lavora tanto sul turismo, vedi Romeo, Giulietta e il balcone, si può pensare che Verona sarà sotto accusa come città non gay-friendly». Se per il Circolo Pink «la posizione di Sboarina era nota da tempo quindi non sorprende, semmai non ci si aspettava che arrivassero a intervenire anche in un ambito commerciale», per Nicola Fucci, presidente del Romeo’s, locale gay-friendly aperto a Verona dal 1989 e meta dei turisti gay della città, «c’è il timore che adesso a qualcuno passi la voglia di venire a Verona». Ed è un sassolino che il deputato padovano del Pd Alessandro Zan, attivista Lgbt, raccoglie al volo: «Verona è una città bellissima ma purtroppo amministrata da gente fuori dalla storia: amministratori inadeguati, che dimostrano anche una certa incultura e non riescono nemmeno a capire che quella fiera è un evento commerciale che si rivolge a tutti: col loro atteggiamento danneggiano la città anche rispetto alle proprie potenzialità turistiche».
Da fessi far cancellare lo slogan: non lo avrebbe notato nessuno