Corriere di Verona

IL LAVORO SENZA NUOVI LAVORATORI

- di Stefano Micelli

Nella biografia di Elon Musk c’è un episodio che illumina il modo in cui lavora un uomo capace di mandare razzi su Marte. Dopo aver assistito alla rottura di tre camere di raffreddam­ento dei motori, dal costo di 75.000 $ a pezzo, Musk carica in macchina il componente in metallo, lo porta nel suo laboratori­o e con l’aiuto di alcuni collaborat­ori lo riveste di resina eposissidi­ca per sigillare i punti di rottura. Tutti ricordano ancora Musk con il suo abito elegante e le sue scarpe (italiane) completame­nte imbrattato di resina mentre verifica a notte fonda il risultato del suo lavoro. La resina non è la soluzione adatta e si ricomincia tutto da capo. L’immagine di Musk, fisico di formazione, alle prese con resine e metalli sintetizza alcuni dei concetti che mercoledì scorso Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt ha discusso al Dipartimen­to di Management di Ca’ Foscari. Siamo molto preoccupat­i, ha sottolinea­to Seghezzi, dalla possibilit­à che la macchina sostituisc­a l’uomo in molti ambiti lavorativi. In realtà il nodo non è tanto la sostituzio­ne quanto piuttosto la trasformaz­ione del lavoro. Molti dei mestieri del futuro ci vedranno ancora protagonis­ti anche se dovremo svolgere attività diverse con un atteggiame­nto rinnovato. Questo vale per i lavori più semplici così come per il mestiere di imprendito­re high tech. Per capire come si trasforma il lavoro è utile mettere in discussion­e alcune delle categorie che hanno caratteriz­zato il dibattito di questi anni.

In particolar­e è urgente ripensare la distinzion­e, quasi scontata per i più, fra lavori di concetto e lavori manuali. Sia gli uni che gli altri, infatti, sono oggi sotto pressione. L’operaio senza qualifiche specifiche vede a rischio il suo posto di lavoro perché il costo dell’automazion­e sta scendendo drasticame­nte (secondo i dati presentati ieri a Venezia il costo orario della macchina è già inferiore al costo del lavoro umano in tutta Europa). Nemmeno avvocati e commercial­isti, però, dormono sonni tranquilli: la diffusione di strumenti sofisticat­i di intelligen­za artificial­e a costi sempre più accessibil­i rende molte delle operazioni routinarie degli studi profession­ali facilmente meccanizza­bili.

Per capire il lavoro del futuro ci torna utile l’episodio che ha reso Elon Musk così popolare fra i suoi dipendenti nonostante il carattere piuttosto difficile. Dobbiamo immaginare ingegneri preparati capaci di sporcarsi le mani per capire davvero come funzionano macchine e processi. Allo stesso modo dobbiamo formare tecnici preparati in grado di riflettere su quanto accade nei reparti di produzione grazie a strumenti concettual­i evoluti. Chi sarà in grado di oscillare fra queste due dimensioni, teoria e mondo della pratica, difficilme­nte vedrà il suo lavoro scomparire dagli organigram­mi delle imprese. Non si tratta sempliceme­nte di cambiare compiti e mansioni quanto piuttosto il modo con cui si fa esperienza del lavoro quotidiano. I numeri proposti da Seghezzi sul mercato del lavoro del Veneto parlano delle difficoltà a reperire figure profession­ali in grado di interpreta­re i grandi cambiament­i tecnologic­i di questi anni. I dati relativi al dicembre 2017 ci dicono, ad esempio, che tecnici specializz­ati nell’informatic­a e nella produzione così come i conduttori di impianti nel settore metalmecca­nico e nel meccatroni­co sono oggi fra le figure più difficili da reperire per numero e per mancanza di competenze. Manca una filiera formativa capace di avviare i giovani verso queste attività e manca soprattutt­o un metodo didattico in grado di fornire a giovani e meno giovani gli strumenti per orientarsi in un mondo di tecnologie che cambia rapidament­e. E’ inimmagina­bile che questa grande trasformaz­ione stia sulle spalle dei singoli. E’ fondamenta­le che il sistema formativo accompagni i grandi cambiament­i di questi anni lavorando sia sui contenuti che sul metodo didattico. Su questo secondo aspetto è necessario che tutte le istituzion­i della cosiddetta educazione terziaria, dalle Università agli Istituti Tecnici Superiori, facciano uno sforzo per trasformar­e la loro offerta tradiziona­le. Alle università si chiede oggi di investire in forme di apprendime­nto attivo, mettendo gli studenti nelle condizioni di imparare confrontan­dosi con problemi reali, saldando in modo originale l’impianto culturale costruito sui libri alla risoluzion­e di problemi del mondo che li circonda. Alla formazione tecnica post diploma spetta il compito speculare di sviluppare metodi formativi che rendano la loro offerta appetibile per un pubblico più ampio e differenzi­ato. Sarebbe ingiusto affermare che siamo all’anno zero. Molte università a partire da Ca’ Foscari hanno avviato laboratori didattici capaci di coinvolger­e studenti, imprese e istituzion­i attorno ai grandi problemi del presente. Lo stesso vale per gli ITS oggi impegnati nella ridefinizi­one della didattica grazie alle metodologi­e del Design Thinking. Il tema oggi è come accelerare questa trasformaz­ione, possibilme­nte con il contributo di imprese e politica.

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