Villafranca si ferma per l’ultimo saluto a don «Gipi»
Folla per l’addio a Giampietro Fasani. E il sindaco chiude parte del centro al traffico
Sulla bara, la stola e il vangelo aperto. A fianco, lo zaino da montagna, il casco, gli scarponi. La sua attrezzatura del tempo libero. Sia i suoi colleghi sacerdoti, sia i familiari (l’eulogia è stata tenuta dai nipoti) hanno deciso di ricordare don Giampietro Fasani ricorrendo a metafore alpine. «La pazienza di scalare le alte vette, la soddisfazione una volta raggiunta la cima... nulla ti descrive meglio» ha detto don Andrea Mascalzone, sacerdote che ha a lungo collaborato con il prete originario di Grezzana. È lui a ricostruire la «non carriera» di don «Gipi», un parroco che si definiva «ingenuo come un bambino goffo appena sceso dal monte» e per il quale «farsi strada» era l’ultimo dei pensieri.
Eppure don Gipi era quel che si dice un «pezzo grosso», per anni economo della Cei, la Conferenza episcopale italiana, l’organo che riunisce tutti i vescovi della penisola. E altri «pezzi grossi» in abito talare, qualcuno con tanto di porpora, non hanno fatto mancare i suoi saluti, al funerale che si è tenuto ieri al duomo di Villafranca.
Ha ricordato il suo impegno da «addetto alla contabilità» monsignor Rocco Pennacchio, vescovo di Fermo, che con don Fasani a Roma ha lavorato. «Qualcosa che gli è costato duro lavoro e sacrificio, in un momento chiave per la Chiesa italiana - ha detto - e che ha portato risultati. Uno di questi è il grande e moderno centro congressi Cei della via Aurelia».
A salutarlo anche il cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, tramite una lettera inviata al vescovo di Verona: «È stato uno dei collaboratori più fedeli e più preziosi quand’ero segretario della Cei - ha scritto - oltre che un amico carissimo. Al rigore del trattare le questioni amministrative, univa un sentire evangelico, che illuminava tutto il suo operato».
Una missione, quella di don Fasani. E poco importava che fosse a Roma o alle Golosine, dove ha iniziato e dove, ha ricordato sempre don Mascalzoni, «si era avvicinato in particolar modo ai giovani emarginati - erano gli anni ‘70 - subendo minacce e danni all’auto». Fino all’ultimo impegno, con l’Adoa, l’associazione diocesana di opere assistenziali che aveva contribuito a fondare.
Ma non c’erano solo sacerdoti al funerale del parroco di Villafranca, scomparso dopo una grave malattia a 65 anni d’età. C’erano innanzitutto i fedeli (i concittadini di Grezzana, suo paese di origine e quelli di San Giovanni Lupatoto, altra parrocchia che ha retto negli anni del suo sacerdozio). Si sapeva fin da subito che il duomo, per quanto grande, non sarebbe riuscito a contenere tutte quelle persone. Così, il sindaco di Villafranca, Mario Faccioli, dopo aver sospeso la festa di Carnevale (si sarebbe dovuta tenere sabato, giorno in cui don Giampietro è morto) ha messo a disposizione un pezzo di strada davanti alla Chiesa, chiudendo parte del centro storico al traffico. Centinaia le persone davanti al megaschermo.
A officiare le esequie, il vescovo Giuseppe Zenti. Un sacerdote, ha detto il capo della diocesi veronese, «che se n’è andato troppo presto». Inevitabile pensare al calo della vocazioni con cui fa i conti anche la chiesa scaligera. «È stato un esempio - ha concluso monsignor Zenti - di parroco amato dai fedeli, che non gli hanno mai fatto mancare la loro collaborazione. Preghiamo Dio che ce ne mandi altri così: ne abbiamo bisogno».
Il ricordo Don Gipi si definiva ingenuo come un bambino goffo
Betori (Cei) Caro amico Il sentire evangelico illuminava il suo operato