Alla Capitolare i manoscritti svelano Ursicino
L’esposizione Dal Codex Ursicinus all’opera di Sant’Agostino: alla Capitolare, da domani fino al 16 maggio. Fasani: «I tesori della biblioteca raccontano il sesto secolo della città nell’Italia contesa tra goti, longobardi e bizantini»
T utto nacque da un atto di vanità: una data e una firma, una prassi «inaccettabile» tra gli amanuensi. «Alle calende d’agosto», anno 517, Ursicino. Un nome e un numero preziosissimo che permette di datare un manoscritto ricostruendo un’intera epoca. Il sesto secolo, così oscuro (primo Medioevo, all’indomani della caduta dell’impero romano), così importante per Verona. Prima del culmine della stagione degli scaligeri, settecento anni più tardi, fu il primo periodo aureo della città che sorge sull’Adige: due invasioni germaniche, due popoli che la stabilirono come capitale d’Italia. I Goti, con Teodorico, nel 526, i Longobardi, con Alboino, nel 568.
E come ogni città di una certa importanza, anche Verona aveva il suo «pensatoio», naturalmente in mano alla Chiesa. È la biblioteca capitolare, che sorge ancora oggi a pochi passi dal Duomo, considerata una delle più antiche tuttora esistenti. La Capitolare ha festeggiato la scorsa estate i 1.500 anni di attività. Ma è solo una data simbolica: i canonici erano al lavoro, infatti, già alcuni decenni prima. E a Verona era attiva una «scuola» di scrittura ben avviata. Lo ha dimostrato la scoperta di un frammento, ritrovato a Bologna nel 2009, che testimonia la storicità della figura di Ursicino: l’autore è una persona che dichiara di essere un suo discepolo.
Come promesso, la Capitolare ha dedicato a questo misterioso chierico una mostra, «Verona al tempo di Ursicino». Esposti in via eccezionale, da domani fino al 16 maggio i tesori della biblioteca della Curia veronese. Manoscritti che risalgono in gran parte proprio al Sesto secolo, quando la città fu crocevia di genti arrivate da Settentrione e dall’Oriente. C’è il Codex Ursicinus, naturalmente, un’agiografia - unica al mondo - che racconta le vite di San Martino di Tours e di San Paolo (l’eremita di Tebe, non l’Apostolo delle Genti) ma anche la sola copia esistente, risalente a circa duecento anni prima, delle istituzioni di Gaio: senza di essa il diritto romano sarebbe solo un’ipotesi.
C’è anche una raccolta di omelie (scritta sui palinsesti, testi «graffiati via» di classici greci e latini) ad uso di preti ariani, che testimonia come a Verona ci fosse un’ampia comunità di quelli che saranno definiti eretici. E ancora, la più antica copia superstite del «De Civitate Dei» di Sant’Agostino, redatto a Ippona, città natale del dottore della Chiesa, e l’evangeliario purpureo, dove l’inchiostro d’argento emerge dal rosso regale delle pagine. Non mancano curiosità come un salterio (un libro contenente i salmi) bilingue: latino e greco. Anche quest’ultimo, però, è «traslitterato» in caratteri romani, in modo tale che lo potesse leggere un pubblico più ampio.
Un patrimonio che fa dire al prefetto della Capitolare, don Bruno Fasani, «soltanto la Bibliotheque nationale di Parigi avrebbe potuto mettere insieme qualcosa del genere, a parte Verona, ovviamente». La mostra è stata realizzata con la consulenza dell’Università di Verona: che al termine realizzerà anche un catalogo.
«Non si tratta esclusivamente di un’iniziativa culturale di grande interesse per la città e non solo - spiega Massimiliano Bassetti, docente di Paleografia latina che ha seguito l’allestimento della mostra - ma anche di un’occasione per fare ricerca: è un allestimento di studio che consentirà di dire qualcosa di più sulla figura di Ursicino e sul ruolo che ha avuto la Capitolare nell’Italia contesa tra goti, longobardi e bizantini».