Ornella Vanoni «Sono fortunata mi amano in tanti»
Accenna ad Amy Winehouse, parla delle canzoni contemporanee («ma non ascolto quelle di Sanremo») e degli amori con Gino Paoli e il maestro Strehler «Avverto l’affetto di diverse generazioni, anche degli altri artisti»
Un dono, quella voce lì. «Sono fortunata, lo so, ho una voce ch’è ancora bella, sarebbe sciocco dire il contrario». La voce di Ornella Vanoni a un certo punto incrocia Amy Winehouse, «Love is a losing game», un accenno e cala un silenzio da concerto spezzato solo dal senso dell’evento, cioè un incontro col pubblico, domande e risposte, parole in libertà. «Questo pezzo, “Love is a losing game”, che canto anche dal vivo, paragona l’amore a un gioco d’azzardo. Mi piaceva da morire, Amy. Il successo deflagrante le ha tolto una vita normale dandole l’inferno dei paparazzi sotto casa. È che ho un debole per le bambine tristi. Come lei e come Billie Holiday, applaudita applaudita, sì, ma intanto per il fatto d’essere nera doveva dormire in autobus e non poteva entrare al ristorante». Il pubblico di Ornella Vanoni, ieri, alla Feltrinelli di via Quattro Spade, qui a Verona: donne che si ricordano sotto il palco ai suoi concerti con Gino Paoli («ogni sua donna se n’è innamorata alla follia, come me»), uomini che la ringraziano d’essere ancora colonna sonora, di girare sempre col sorriso e l’ironia nel taschino (lei apprezza e intanto prende in braccio l’inseparabile cagnolina, Ondina, un barboncino dal pelo nero) , ragazzi che le domandano cosa ascolta quand’è a casa: «Tanti dischi ricorrenti, di sicuro adesso niente canzoni di Sanremo…». Il Festival a 83 anni, tutto ancora fresco, «Impara- re ad amarsi» cantata con gli autori Bungaro e Pacifico, premio Endrigo per l’interpretazione più intensa e quel Baglioni d’oro che «mi rende felice perché era il voto di tutti i colleghi. “Imparare ad amarsi” è un brano che inte-
ressa di undici tutti, anni: anche bisogna un bambino sapersi lasciare e poi perdonare per non portarsi dietro l’amaro, magari i primi tempi sono duri ma poi salvi i ricordi belli e il rapporto stesso, che può diventare anche un’amicizia».
La canzone dell’Ariston fa parte di «Un pugno di stelle», triplo cd edito da Sony, nuova raccolta che Vanoni presenta alla Feltrinelli prima di rituffarsi subito in quel tour, «La mia storia», che passa stasera dal Gran Teatro Geox di Padova. «Non è un concerto normale. Parto dalle canzoni della mala. Poi faccio Brecht. Quindi entro nei brani pop, jazz, qualcosa di americano. “L’appuntamento”? Tutti me la chiedono, sempre, allora io per dispetto non la canto (ride, ndr): questa volta, invece, sì».
Con quella voce, Vanoni canta ancora per tutti. «Avverto l’affetto di diverse generazioni. Non solo pubblico, ma anche artisti. Ce ne sono, di cantanti giovani, che amo molto: Carmen Consoli, Malika Ayane, Paola Turci, siamo anche amiche, parliamo tanto insieme, c’è un bel rapporto». Una carriera, tanti rapporti. Quello con Giorgio Strehler: «Forse l’uomo che mi ha amata di più: tutto quel che so, ho letto, imparato me l’ha dato lui, dopodiché io l’ho elaborato». Quello con la tv: «È come una tac, se stai male si vede, mai andarci quando si è depressi». Quello con la paura: «Sul palco è durata vent’anni, adesso c’è solo la forte emozione». Sua e di chi ascolta. Come a quell’accenno su Amy Winehouse in Feltrinelli. Perché quando canta Ornella Vanoni c’è solo lei.