Corriere di Verona

Spinozzi, doppio ex «Io laziale ma con l’Hellas nel cuore»

Spinozzi, cuore diviso: «Sogno loro in Champions e i gialloblù salvi»

- Fontana

«Nel primo anno all’Hellas abitavo in centro storico. Sono tornato a Verona l’estate scorsa. L’emozione è stata grande. Rivedere Piazza Erbe, i vicoli della città. Ci ho lasciato il cuore». Arcadio Spinozzi, di cuore, ne ha sempre avuto tanto. Lo buttava in campo, con il furore del difensore in un’epoca in cui la marcatura a uomo era l’unica via. Per due anni è stato al Verona, per sei alla Lazio: «Non chiedermi di lunedì, andrei in difficoltà. Sogno la Lazio in Champions League e il Verona salvo».

Lei arrivò all’Hellas nel 1977. Si fece subito apprezzare dal pubblico. Il Verona lo lasciò dopo una retrocessi­one dolorosa, nel 1979.

«Mi auguro che non sia la sorte dei gialloblù in questa stagione. Io il calcio ormai lo seguo poco: è tutto affari, non mi piace. Faccio fatica a vedere le partite anche in television­e, ma questo non toglie nulla al legame che ho con quanto ho vissuto». Il suo Hellas in una persona?

«Saverio Garonzi, il presidente. Quando andavi a discutere del contratto con lui pareva che ti dovesse fare l’elemosina e che fosse generoso a pagarti vitto e alloggio. Delle battaglie infinite. Al Verona, due estati su due, ho preso la macchina e ho lasciato il ritiro, perché non ci si metteva d’accordo. In realtà, però, poi ci si capiva. Era una scena studiata, la sua. Come con Zigoni: che storie, quelle». Racconti.

«Zigo entrava nello studio di Garonzi per trattare l’ingaggio. Io e gli altri giocatori aspettavam­o fuori. Iniziavi a sentire urla, parolacce, sedie sbattute a terra. Io mi preoccupav­o, temevo che finisse male. I veterani dello spogliatoi­o, come Mascetti e Maddè, mi invitavano a non farci caso: “È tutta una commedia: la fanno sempre”. Era così».

Ha mantenuto i contatti con i compagni di squadra di allora?

«Con qualcuno sì. Con Totò Logozzo, in particolar­e. Stiamo preparando un ritrovo per il 15 aprile, nel quarantesi­mo anniversar­io della tragedia di Murazze di Vado. Stavamo andando in treno a Roma per giocare con i gialloross­i. Viaggiavam­o sulla “Freccia della Laguna”, ci fu un terribile incidente, il peggiore della storia per la ferrovia in Italia. Morirono tante persone. Noi del Verona ci salvammo per miracolo». La vostra vita cambiò quel giorno?

«Non poteva non essere così. Ci siamo trasferiti nel vagone ristorante un quarto d’ora prima del disastro. Fossimo rimasti nelle carrozze in cui eravamo non avremmo avuto scampo. Il destino è un attimo». Lei l’ha provato anche nel calcio.

«Ho pagato con l’ostracismo le denunce che ho presentato contro il malaffare che c’è nel mondo del pallone. Già nel 2000 ne parlai agli organi competenti. Sei anni prima di Calciopoli. Allenavo, e non mi permisero più di farlo. Sono stato emarginato. Quel che mi dispiace è vedere come abbiano ridotto lo sport che ho amato». Verona è Garonzi, è Zigoni, è il destino, diceva. E la Lazio?

«Ci ho scritto un libro: “Una vita da Lazio”. A Roma entri in un altro mondo. Io giocavo per i tifosi. Lo stipendio lo prendevamo con i soldi del botteghino. Certa gente, invece, faceva dei giri sporchi. Lì ho scoperto che il calcio non è pulito. Dal Verona ero passato al Bologna: altra realtà a misura d’uomo. Alla Lazio era tutto molto complicato, ma mi sento sempre biancocele­ste. Eppure l’Hellas è una sensazione indimentic­abile».

Doppio ex Arcadio Spinozzi arrivò a Verona nel ‘77, nel 79 la retrocessi­one: passò al Bologna, poi la Lazio

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