Il fuoco di Paganini secondo il virtuoso Krylov
Il violinista di scena al Filarmonico con il direttore Allemandi
Debuttava al Teatro Filarmonico nel 2006, Antonello Allemandi, milanese, classe ’57, una carriera internazionale, dirigendo «Il Barbiere di Siviglia». Dodici anni, tra allora e oggi, in mezzo l’esperienza in Oman con i complessi artistici areniani, nel gennaio 2018, trasferta alla Royal Opera House Muscat. È un ritorno, atteso, il suo. Come quello del violinista russo Sergej Krylov, originario di Mosca, collaboratore per orchestre come Staatskapelle di Dresda, Filarmonica di San Pietroburgo, London Philharmonic, Filarmonica della Scala, prima volta con la Fondazione Arena al Filarmonico nel 2005 poi ancora nel 2004, 2009, 2014 e 2015.
Pagine da aprire, adesso, e insieme: Paganini, Berlioz e Kodály. Sono le pagine di stasera, ore 20, e domani, ore 17, al Filarmonico, nel secondo appuntamento della Stagione sinfonica 2018 della Fondazione Arena: Allemandi a dirigere Orchestra e Coro dell’Arena, Krylov al violino solista. Si comincerà col «Concerto per violino e orchestra n. 4 in re minore» di Paganini, composto tra 1829 e il 1830, «ispirazione – come ricordano gli organizzatori – per la giovane generazione romantica, per Schumann, ma anche per Liszt e Chopin». Seguirà quella che la Fondazione rimarca come «una partitura più ricercata per orchestra e coro», ossia «Tristia op. 18» di Berlioz, «creata dall’unione nel 1852 di tre composizioni nate separatamente in tempi diversi», di fatto tre movimenti (Méditation religieuse, La mort d’Ophélie e Marche funèbre pour la dernière scène d’Hamlet) ispirati a testi di Thomas Moore.
Quindi, a chiudere, «raffinate quanto sfavillanti», le «Danze di Galánta» del compositore ungherese Zoltán Kodály. Nate nel 1933, su commissione, per gli 80 anni dalla fondazione della Società Filarmonica di Budapest, nelle «Danze» Kodály «parte dal repertorio della sua infanzia, lasciandosi ispirare da Galánta, un villaggio dell’Impero Austro-Ungarico» e il materiale da cui attinge è quello della «musica folcloristica dell’antica tradizione magiara, nello stile della danza popolare verbunkos che gli era stata più familiare: ne nasce una composizione tanto brillante quanto elaborata».