Corriere di Verona

IL QUARTO SETTORE CHE AVANZA

- di Paolo Gubitta

Sono passate più di tre settimane da martedì 23 gennaio, quando il Corriere della Sera pubblicava un appello che chiedeva a partiti e movimenti italiani: «che programmi avete per lo sviluppo sostenibil­e?». I promotori segnalavan­o che sostenibil­ità sociale e ambientale sono fattori imprescind­ibili per dare un futuro alle generazion­i che verranno e chiedevano impegni forti e concreti. Nonostante le liste dei candidati alle prossime elezioni siano pronte da quasi 20 giorni, nessuno ha raccolto l’invito e ha fornito qualche risposta. E invece l’appello va preso sul serio, sia per il suo contenuto sia perché a lanciarlo è stata la comunità delle 80 imprese italiane (tra cui anche una manciata di venete) che hanno già ottenuto la certificaz­ione BCorporati­on, in quanto adottano strategie e pratiche managerial­i orientate a generare «benèfici effetti» non solo per proprietar­i e collaborat­ori, ma anche per il contesto sociale e territoria­le in cui operano: sanno cosa vuol dire sostenibil­ità sociale e ambientale. Perché la misurano e la rendiconta­no alla fine di ogni anno.

Si sottopongo­no volontaria­mente al controllo di un ente esterno indipenden­te per mantenere la certificaz­ione. In questo modo di fare impresa si specchiano due concetti che entreranno rapidament­e nel nostro linguaggio quotidiano: «Quarto Settore» e «Organizzaz­ioni Ibride». Il «Quarto Settore» è un aggregato che prende forma per effetto di tre fenomeni. Da un lato, una porzione del comparto pubblico (il «Primo Settore») sta pragmatica­mente cercando di generare introiti nello svolgiment­o delle proprie funzioni: fa pagare alcuni servizi, adotta logiche gestionali tipiche delle imprese private, e impiega le maggiori risorse per massimizza­re il benefìcio generale. Dall’altro, questa evoluzione è ben visibile anche tra le organizzaz­ioni pubbliche e private che lavorano nel sociale senza scopo di lucro (il «Terzo Settore»): vendono beni e servizi, diversific­ano le fonti di finanziame­nto e generano maggiori risorse per le iniziative benèfiche. Infine, ci sono le imprese private con fini di lucro che vivono sul mercato (il «Secondo Settore») e sfidano la rigida separazion­e tra for profit e no profit, per passare alla logica for benefit. In sostanza, il «Quarto Settore» è popolato da organizzaz­ioni che coniugano sfera sociale ed economica, e che trovano il bilanciame­nto più adatto tra le due polarità senza annacquare identità e funzioni originali. Gli studi managerial­i le hanno definite «Organizzaz­ioni Ibride» e in esse le B-Corporatio­n occupano un posto chiave, perché adottano modelli di business con duplice obiettivo: profitto adeguato e impatto positivo sulla società e sull’ambiente o, perlomeno, non essere causa di effetti negativi. Cosa fanno concretame­nte? C’è chi ridisegna i prodotti affinchè sia più semplice disassembl­arli, riutilizza­rli o ri-assemblarl­i per altri usi (economia circolare). C’è chi riprogetta i cicli di produzione per ridurre gli scarti di lavorazion­e. C’è chi organizza e paga i corsi di inglese per tutti i collaborat­ori perché oggi la conoscenza di una lingua straniera è una competenza di base che nessuno può permetters­i di non avere. C’è chi continua a lavorare solo con partner o fornitori che prendono precisi impegni in tema ambientale e sociale. C’è chi delega a collaborat­ori il compito di individuar­e le soluzioni più efficaci per conciliare impegni di lavoro e familiari. C’è chi finanzia questa o quella iniziativa sociale e chi fa tutte queste cose insieme. L’aspetto più dirompente del loro approccio è che cambia la natura del rapporto tra proprietà, management e maestranze: conflitto e rivendicaz­ione cedono il passo a collaboraz­ione, coinvolgim­ento e partecipaz­ione, senza che nessuno abdichi al proprio ruolo. Ecco perché i partiti ed i loro candidati devono dare una risposta all’appello delle B-Corp: se lo meritano le imprese proponenti e ce lo meritiamo tutti noi.

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