IL QUARTO SETTORE CHE AVANZA
Sono passate più di tre settimane da martedì 23 gennaio, quando il Corriere della Sera pubblicava un appello che chiedeva a partiti e movimenti italiani: «che programmi avete per lo sviluppo sostenibile?». I promotori segnalavano che sostenibilità sociale e ambientale sono fattori imprescindibili per dare un futuro alle generazioni che verranno e chiedevano impegni forti e concreti. Nonostante le liste dei candidati alle prossime elezioni siano pronte da quasi 20 giorni, nessuno ha raccolto l’invito e ha fornito qualche risposta. E invece l’appello va preso sul serio, sia per il suo contenuto sia perché a lanciarlo è stata la comunità delle 80 imprese italiane (tra cui anche una manciata di venete) che hanno già ottenuto la certificazione BCorporation, in quanto adottano strategie e pratiche manageriali orientate a generare «benèfici effetti» non solo per proprietari e collaboratori, ma anche per il contesto sociale e territoriale in cui operano: sanno cosa vuol dire sostenibilità sociale e ambientale. Perché la misurano e la rendicontano alla fine di ogni anno.
Si sottopongono volontariamente al controllo di un ente esterno indipendente per mantenere la certificazione. In questo modo di fare impresa si specchiano due concetti che entreranno rapidamente nel nostro linguaggio quotidiano: «Quarto Settore» e «Organizzazioni Ibride». Il «Quarto Settore» è un aggregato che prende forma per effetto di tre fenomeni. Da un lato, una porzione del comparto pubblico (il «Primo Settore») sta pragmaticamente cercando di generare introiti nello svolgimento delle proprie funzioni: fa pagare alcuni servizi, adotta logiche gestionali tipiche delle imprese private, e impiega le maggiori risorse per massimizzare il benefìcio generale. Dall’altro, questa evoluzione è ben visibile anche tra le organizzazioni pubbliche e private che lavorano nel sociale senza scopo di lucro (il «Terzo Settore»): vendono beni e servizi, diversificano le fonti di finanziamento e generano maggiori risorse per le iniziative benèfiche. Infine, ci sono le imprese private con fini di lucro che vivono sul mercato (il «Secondo Settore») e sfidano la rigida separazione tra for profit e no profit, per passare alla logica for benefit. In sostanza, il «Quarto Settore» è popolato da organizzazioni che coniugano sfera sociale ed economica, e che trovano il bilanciamento più adatto tra le due polarità senza annacquare identità e funzioni originali. Gli studi manageriali le hanno definite «Organizzazioni Ibride» e in esse le B-Corporation occupano un posto chiave, perché adottano modelli di business con duplice obiettivo: profitto adeguato e impatto positivo sulla società e sull’ambiente o, perlomeno, non essere causa di effetti negativi. Cosa fanno concretamente? C’è chi ridisegna i prodotti affinchè sia più semplice disassemblarli, riutilizzarli o ri-assemblarli per altri usi (economia circolare). C’è chi riprogetta i cicli di produzione per ridurre gli scarti di lavorazione. C’è chi organizza e paga i corsi di inglese per tutti i collaboratori perché oggi la conoscenza di una lingua straniera è una competenza di base che nessuno può permettersi di non avere. C’è chi continua a lavorare solo con partner o fornitori che prendono precisi impegni in tema ambientale e sociale. C’è chi delega a collaboratori il compito di individuare le soluzioni più efficaci per conciliare impegni di lavoro e familiari. C’è chi finanzia questa o quella iniziativa sociale e chi fa tutte queste cose insieme. L’aspetto più dirompente del loro approccio è che cambia la natura del rapporto tra proprietà, management e maestranze: conflitto e rivendicazione cedono il passo a collaborazione, coinvolgimento e partecipazione, senza che nessuno abdichi al proprio ruolo. Ecco perché i partiti ed i loro candidati devono dare una risposta all’appello delle B-Corp: se lo meritano le imprese proponenti e ce lo meritiamo tutti noi.