Archeologia vinicola da 280 euro a bottiglia
Quattro vini ricavati da vitigni storici che rischiavano di scomparire per sempre. È la scommessa lanciata da Garbole, azienda agricola della Val d’Illasi. Il primo prodotto lanciato sul mercato costa 280 euro a bottiglia.
Un po’ filosofi, un po’ archeologi alla ricerca di antichità verdi. Ettore e Filippo Finetto sono due fratelli che, lasciato il proprio lavoro stabile, nel 1994 hanno deciso di creare la cantina Garbole a loro immagine e somiglianza. Prima cinque ettari nel territorio di Tregnago, diventati poi dieci suddivisi in appezzamenti a cavallo tra le valli d’Illasi e Tramigna.
Garbole è il nome della località dove i due vignaioli hanno realizzato la loro cantina, mentre il loro lavoro di ricercatori si è esteso in tutto il territorio della Valpolicella doc. Grazie a questa passione hanno riportato in vita quattro storici vitigni veronesi salvandoli dall’estinzione. «Ricordo che abbiamo trovato due viti di Spigamonti – racconta Ettore Finetto – in un vecchio vigneto di Mezzane prima che venisse estirpato. Ci hanno colpito perché si presentavano come completamente rosse: non solo il frutto, ma anche le foglie e direi il fusto. Un vitigno con una personalità incredibile, un carattere che non abbiamo trovato in nessun altra vite».
Le uve di Spigamonti, conosciuta anche come Segreta, oggi danno il meglio di sé assieme a Negrara, Saccola e Pontedarola, nelle bottiglie di Hurlo, il Rosso Veneto Igp di cui proprio la settimana scorsa i due fratelli hanno presentato la nuova annata all’Enoteca Achilli (una stella Michelin) a Roma. Sono tutti vitigni storici della Valpolicella che stavano per scomparire, ma che i fratelli Finetto hanno riportato alla vita creando un vino unico se combinato assieme alla Corvina Veronese. La Saccola, ad esempio, è un’uva che si riesce a produrre anche in alta collina, a 6-700 metri, cioè a un’altitudine inusuale per il territorio veronese. Lo stesso la Pontedarola che presenta grappoli carichi di colore. «Il vino per noi – spiega Finetto – è prima di tutto un pensiero; un’idea che ha molto a che fare con un concetto etico e morale di lavoro in campagna. Il nostro processo di riscoperta dura dal 1994 ed è diventato il nostro marchio di fabbrica».
Vignaioli sognatori, i fratelli Finetto sono stati capaci di andare controcorrente rispetto alle mode per affermare che in campagna, nel vino e in azienda, il fattore principale è l’identità. Perciò dai loro dieci ettari sono stati banditi tutti i vitigni internazionali ed è stato creato lo spazio per ciò che rappresenta la storia, ma a sentire loro, anche il futuro della Valpolicella.
Da questa filosofia nascono solo 4 vini: Hurlo appunto, Heletto che è un Igp rosso, l’Amarone Hatteso e il Recioto Hestremo. Per chi si chiedesse la ragione dell’H posta davanti a ogni nome, il significato è presto detto: «In italiano l’H è lettera muta, ma fondamentale. È la lettera del silenzio che dà significato. Nelle nostre etichette, indica il nostro lavoro che è forte dell’esperienza delle persone a cui ci affidiamo che sono sempre le stesse, degli stessi terreni, delle stesse uve: è il fattore che non si vede, ma che c’è ed è fondamentale. Perché è il filo conduttore che lega tutto il nostro lavoro».
Con questa filosofia, la cantina produce circa 25 mila bottiglie l’anno. Il circa è determinante perché, ad esempio dopo la brutta estate del 2014, Garbole decise di non produrre vino. Di Hurlo si producono 1.500 – 2mila bottiglie. Prezzo importante, a partire da 280 euro. Ma per averle bisogna andare fino a Tregnago, sponda ovest del Tramigna, o in qualche enoteca perché la cantina non ha mai partecipato a manifestazione o fiere, Vinitaly compreso. Eppure l’annata in commercio è quasi esaurita e il 50% delle proprie bottiglie i fratelli Finetto lo vendono all’estero. Samuele Nottegar
I produttori Per noi il lavoro in campagna è prima di tutto un concetto etico e morale