La Carta, i partiti e il dibattito: il colpo al dna pentastellato e la foglia di fico sollevata
Ipartiti e la democrazia. Anzi, la democrazia nei partiti. Vuoi che il giudice di Roma, alla fine, abbia soltanto sollevato una foglia di fico? Il tema, in realtà, è discusso da tempo. Ed è un tema controverso, già prima dei Cinque stelle (che, in teoria, considerano il processo democratico come elemento costitutivo del Movimento). La domanda è questa: dentro ai partiti debbono valere le regole democratiche o, in altri termini, debbono prevalere quelle «decisionali»? La Costituzione ne riferisce all’articolo 49: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». La corrente di lettura dominante dell’art. è quella che ritroviamo, per esempio, nelle pagine del grande costituzionalista del Bo, Livio Paladin. «L’articolo 49 — scrive — non impone letteralmente che ogni partito debba avere un ordinamento interno democratico. Verosimilmente una simile esigenza è implicita nel testo costituzionale, se non altro perché sono tutti i cittadini iscritti a dover disporre liberamente dell’azione dei partiti, anziché sottostare a strutture elitarie ed oligarchiche. Nè la Carta costituzionale, nè la legislazione ordinaria prescrivono alcunché di preciso a carico dei partiti antisistema che non aderiscono alla tavola dei valori costituzionali. [...] Vi è solamente lo specifico divieto di riorganizzazione del partito fascista». Questa è la tesi che ha seguito la dottoressa Cecilia Pratesi. Ella stessa lo scrive nella decisione, facendo riferimento alla storia: «L’opportunità di costituzionalizzare anche il medesimo principio con riferimento alla vita interna dei partiti — afferma — si concluse in Assemblea Costituente in senso negativo, ritenendo dunque tale profilo subvalente rispetto alla necessità di protezione dei partiti dall’ingerenza dello Stato nei loro affari interni». Partita chiusa quindi? In realtà no. Ed è la stessa Pratesi a farlo presente: «Il dibattito relativo alla democrazia interna ai partiti — scrive — non si è affatto sopito e vi è chi sostiene l’opportunità di un intervento legislativo in tal senso orientato». E il punto è proprio questo: è possibile che quell’originale interpretazione della Carta, in una società moderna dove i principi di uguaglianza e buona fede ormai integrano ogni forma associativa e societaria, debba restare ancora la stessa? Due eccelsi civilisti come Andrea Torrente e Piero Schlesinger scrivono per esempio nel loro manuale: «In un ordinamento costituzionale che annovera tra i propri principi fondamentali quello del riconoscimento e della garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali non è oggi più possibile affermare l’assoluta discrezionalità degli accordi associativi nel disciplinare ordinamento e rapporti interni all'associazione». E se fosse questa allora, contro ogni ipocrisia, la vera sfida di tutti? (g.v.)