«Mafia, a Verona roghi dolosi alle ditte e legami con i Cutro»
«Nel corso delle audizioni è emerso, in particolare a Verona, un atteggiamento di sottovalutazione, ai limiti del negazionismo, dei meccanismi di infiltrazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale locale». Eccola, la versione definitiva del rapporto al termine di quattro anni di attività presentato ufficialmente ieri a Roma dalla Commissione parlamentare Antimafia.
Rese note, dunque, le conclusioni definitive tratte dall’organismo bicamerale (che va a sciogliersi in vista delle imminenti Politiche del 4 marzo) sulla base della missione effettuata in terra scaligera a fine marzo 2015 e di una serie di audizioni con procura, prefettura, forze dell’ordine, mondo imprenditoriale, sindacale e associativo. Nel rapporto conclusivo sull’attività dell’Antimafia, Verona si conferma l’unica provincia veneta espressamente citata dall’Antimafia, che in chiave veneta si limita a puntare il dito in modo generico contro «il mancato coordinamento e scambio di informazioni tra le attività investigative delle procure circondariali e le procure distrettuali».
Per quanto riguarda il Veronese, invece, oltre all’«atteggiamento di sottovalutazione, ai limiti del negazionismo, dei meccanismi di infiltrazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale locale», vengono messi in luce da un lato l’escalation di «roghi dolosi» segnalata ai danni di aziende sia in provincia che in città (nella maggior parte dei casi posti proprio in relazione con le «intimidazioni mafiose» e la «malavita d’importazione); dall’altro, le relazioni (comprovate da svariate inchieste e arresti) tra il clan dei Cutro e gli esponenti delle cosche trapiantati in terra scaligera.
Sospetti, quelli avanzati dall’Antimafia, che già nel 2015 aizzarono una vibrante polemica tra Rosy Bindi e l’allora sindaco Flavio Tosi in occasione della visita della Commissione in città. Quei sospetti, da ieri, sono anche stati messi nero su bianco e presentati in Aula.