«Verona, la cultura e Fo... Qui si sente di vivere l’arte»
Lo storico danese, amico del Nobel: «La città sia più ecologista»
In occasione della riapertura, sabato prossimo, del MusALab, il Museo-Archivio-Laboratorio ospitato presso l’Archivio di Stato di Verona ai Magazzini Generali e dedicato al patrimonio artistico di Dario Fo e Franca Rame, abbiamo intervistato Bent Holm, amico intimo della coppia, drammaturgo, storico e professore all’Università di Copenaghen e traduttore in danese dei testi di Dario Fo. Com’è nata, Holm, la sua amicizia con Fo?
«Ho letto la prima volta Fo quando facevo il liceo. Lui veniva considerato un commediografo dell’assurdo, era già stato tradotto in danese e si leggevano i suoi testi con quelli di Samuel Beckett e di Eugène Ionesco. Nella città di Holstebro vi è ”Odin Theatre”, un teatro famoso in tutto il mondo, in cui si organizzavano dei seminari con i protagonisti del mondo del teatro a livello internazionale e lì venne anche Fo nel 1969, per fare un workshop e io ero lì come spettatore tra decine di persone. L’altra cosa fu l’incontro con Fo perché in quell’autunno debuttava in “Mistero Buffo”e io ne ho visto i primi allestimenti a Roma. In quell’occasione lui mi ha riconosciuto dal palco e ha gridato: “Danimarca!”. Quando sono tornato a Copenaghen ho cominciato a studiare il teatro, fare il drammaturgo e a tradurre i suoi testi in danese. Così nel corso degli anni si è sviluppata una profonda amicizia tra noi”. Quali aspetti del teatro di Fo l’hanno colpita maggiormente?
«Quando vedevo Fo avevo sempre la sensazione che ci fosse qualcosa di particolare: parliamo di una comicità profonda la cui radice arriva da lontano. Fo appartiene alla linea carnevalesca della cultura europea. Si può cominciare con Aristofane e Plauto per arrivare ai grandi comici della commedia dell’arte. La sua comicità nasce dai livelli infantili e clowneschi che abbiamo tutti e la società ha bisogno di buffoni. Anche il teatro comico danese è stato fondato nel 1.722 sull’ispirazione sia dei comici dell’arte che di Molière».
Nel suo libro sulle maschere c’è una bellissima prefazione di Fo che elogia il suo scritto come uno degli dei migliori studi sul teatro: è orgoglioso di questo?
«Il mio libro “L’immagine del diavolo. La forza della maschera dal carnevale a Dario Fo” parla della maschera con un aspetto antropologico e studia il rapporto tra Chiesa e teatro che è sempre stato conflittuale. Le maschere costituiscono un rapporto con un altro mondo, il mondo nascosto dei morti, dei demoni, della fecondità e della fertilità. Da lì provengono una serie di segni, suoni e le maschere, ad esempio quella del demone Hellequin che si trasforma in (H)arlquin. Questi processi accadono in coincidenza con i cambiamenti di fede, che coinvolgono quasi automaticamente le condanne del teatro e degli attori.È un libro di 400 pagine e io ne avevo inviato un riassunto a Fo che aveva allora 90 anni e mi rispose che volentieri ne avrebbe scritto la prefazione. Pochi giorni dopo l’ho ricevuta».
Quale suggerimento potrebbe dare per promuovere maggiormente la cultura tra i giovani a Verona?
«Se diciamo promuovere è molto importante rendersi visibili, poi sviluppare idee, aggiornarsi, mai dimenticando l’eredità storica, non diventare museali, ma presentare argomenti storici e poi svilupparli, perché le espressioni senza coscienza delle radici sono vuote. Ma siccome la città è talmente ricca ci sono tutte le possibilità di creare una politica culturale di livello internazionale, perché qui si sente di vivere nell’arte, nella cultura e nella storia. Questa sensazione di bellezza è molto presente, perché le radici a Verona non sono state tagliate, i valori non si sono persi. Occorre tuttavia sviluppare maggiormente una politica ecologica. Questa è l’unica strada per noi danesi che non abbiamo la macchina e andiamo sempre in bicicletta».
Lei ha curato la drammaturgia di «Orfeo e Euridice» in scena ora a Odense. Le piacerebbe portare questo spettacolo a Verona?
«L’Orfeo di Christoph Willibald Gluck, compositore settecentesco, è uno spettacolo con la regia di Giacomo Ravicchio, regista italiano di origine torinese che abita a Copenaghen. Quello che vogliamo fare è presentare quest’opera per i giovani, non come un pezzo di museo, ma con un linguaggio teatrale contemporaneo. E ovviamente abbiamo pensato a questo spettacolo per promuoverlo a livello internazionale e sarebbe un piacere immenso portarlo in scena a Verona».
Sulla promozione culturale Se diciamo promuovere è molto importante rendersi visibili, poi sviluppare idee, aggiornarsi, mai dimenticando l’eredità storica, non diventare museali, ma presentare argomenti storici e poi svilupparli