Corriere di Verona

No al part-time, gerarchie rigide Con il «mianzi» sono guai sicuri

- di Alessandro Zuin

Gli uomini d’impresa cinesi la vedono così: quando ChemChina (quelli che si sono comprati la Pirelli, per intendersi) si trovò a gestire in patria un massiccio esubero di ingegneri, creò da zero una catena di ristoranti specializz­ati in noodles da asporto per ricollocar­e il personale qualificat­o in eccesso. E nessuno fiatò.

D’accordo, qui non potrebbe mai succedere: abbiamo lo Statuto dei lavoratori, le Rsu e i sindacati, il giudice del lavoro a cui ricorrere contro i demansiona­menti. Però l’esempio può tornare utile per comprender­e le abissali differenze di cultura, mentalità e approccio operativo che possono esplodere quando, come avviene sempre più spesso, una società cinese e il suo management entrano da padroni in una fabbrica occidental­e.

In scala ridotta, è già accaduto alla Wanbao Acc di Mel (Belluno), erede della gloriosa Zanussi Elettromec­canica, dal dicembre 2014 entrata nell’orbita del colosso cinese Wanbao: «Vorremmo introdurre il part-time - raccontava nell’agosto scorso al Corriere del Veneto il sindacalis­ta della Fim Cisl Bruno Deola - ma sarà dura». Perché dura? «Questione di mentalità, per loro è inconcepib­ile, in Cina la gente lavora tutto il giorno». Poi, si sa, anche i laboriosi cinesi sanno adattarsi alle convenienz­e del luogo: adesso che ci sono di mezzo 130 esuberi dichiarati e bisogna mandare a casa la gente, operazione che non risulta facile come stando a Pechino o a Shenzhen, è stata l’azienda stessa a proporre ai dipendenti di aderire al part-time orizzontal­e di 4 ore al giorno. Una vergogna, per i ritmi cinesi, ma se può aiutare a evitare provvedime­nti peggiori...

Un’altra delle tipiche difficoltà riscontrat­e nella quotidiani­tà del lavoro sta in quella cosa che i cinesi chiamano «mianzi» e che noi, alla grossa, potremmo tradurre con «faccia». Lo spiega bene Francesco Boggio Ferraris, direttore della scuola di formazione permanente della Fondazione Italia Cina, che per mestiere si occupa esattament­e di questi aspetti: «Nella cultura cinese “mianzi” è la faccia, nel senso metaforico del rispetto che si guadagna presso gli altri. Per capirci, sul lavoro è un errore tremendo far perdere la faccia al proprio capo, ne andrebbe della sua reputazion­e e per loro è una questione rilevantis­sima. Questo crea dei problemi di comunicazi­one non indifferen­ti in azienda: se il dipendente italiano non comprende questo concetto, farà una fatica terribile a decifrare gli atteggiame­nti del manager cinese e potrebbero verificars­i degli equivoci anche gravi».

Nel luogo comune occidental­e, gli uomini d’affari di Pechino e dintorni vengono dipinti grosso modo così: cerimonios­i, formali, sorridenti... e poi ti fregano. Un ritratto grossolano, che Boggio Ferraris mette a fuoco in questo modo: «Il manager classico che arrivava dalla Cina si era formato sui concetti fondamenta­li del taoismo (l’armonia), del confuciane­simo (la pazienza e il rispetto rigidissim­o delle gerarchie) e dell’arte della guerra (la resilienza innanzitut­to). A questo trittico spiega -, la modernità ha aggiunto un quarto elemento: sarà una parola brutta da dire,

L’esperto I loro manager? Pazienti, resilienti e ora anche aggressivi

Sul lavoro è un errore letale far perdere la faccia al proprio capo

ma è l’aggressivi­tà. Nella fase negoziale, vanno dritti all’obiettivo, senza tentenname­nti».

Per tutti questi motivi messi insieme, accade spesso che gli imprendito­ri cinesi vengano visti all’inizio come i salvatori della patria - è il caso delle numerose aziende italiane e venete che versavano in cattive condizioni e sono state risollevat­e dai capitali esteri - e poi si rivelino delle grandi delusioni. «Se ti compra un conglomera­to colossale come Wanda Group - dice ancora Boggio Ferraris - e tu sei una piccola realtà del Nordest italiano, c’è il caso che, nella loro scala delle priorità, tu occupi la 750esima posizione».

È il caso di prendere nota e cominciare ad attrezzarc­i. Perché la Nuova Procond di Longarone, appena passata sotto il controllo del gruppo H&T, è la trentanove­sima azienda nostrana acquisita da capitali cinesi. E anche perché, in Veneto, sono attive ormai più di settemila ditte grandi e piccole a conduzione cinese. Un fenomeno impossibil­e da ignorare.

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