«Cibo lento e cultura in difesa di borghi e osterie»
A Verona è ospite dell’Accademia di Agricoltura: «Dobbiamo costruire un’alleanza tra noi e la vostra istituzione, nel nome della sostenibilità. Perdiamo osterie, borghi, botteghe, insomma socialità. Vittime di un’economia gonfiata»
«Voglio un’alleanza tra Slow Food e l’Accademia. Insieme rafforzeremo le idee nostre e dei tanti, sempre di più, che stufi dell’etica cieca del consumo, vogliono sapere cosa mangiano, cosa acquistano e cosa comporta quell’azione. Qui è conservato un patrimonio di studi sui prodotti tipici veronesi. E il sapere tradizionale, della civiltà veneta, delle sue persone più umili, di quei contadini custodi di un sapere empirico che ci ha permesso di arrivare qui oggi, non va separato dal sapere accademico». Papà di Slow Food, presidente dell’Università di Scienze Gastronomiche, Carlo Petrini (lo chiamano anche Carlìn), 68 anni, ha fama di visionario che ci vede lucidamente. Vede, soprattutto, certe connessioni. Quelle che l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, 250 anni di storia, gli ha chiesto di mettere lì, ieri, sul tavolo di un convegno zeppo di pubblico. «Da un focus fortemente agricolo l’Accademia è passata alle scienze, alla letteratura, maturando una dimensione olistica del sapere. E oggi il tema da sapere è la sostenibilità. Cioè l’elemento di connessione per una nuova educazione in cui agricoltura, economia, ambiente e giustizia sociale siano lo stesso argomento».
La sostenibilità per Petrini? «Un impegno. Perché il termine deriva da “sustain”, il pedale che allunga il suono del pianoforte, quindi l’idea di qualcosa che duri più di quanto immaginiamo: il contrario dell’usa e getta». L’agri- coltura, allora. «Non s’è mai parlato tanto di cibo eppure la nostra agricoltura, vitale per l’Italia, è a carte e quarantotto. Tra produttori e cittadini c’è chi taglia la torta più grande, cioè la distribuzione, che sta distruggendo la nostra bellez-
za: prima i grandi centri commerciali e outlet, adesso Amazon che farà chiudere quegli stessi luoghi, il tutto in base a un’economia gonfiata».
Un’economia che cambia faccia alle città. «Perdiamo borghi, osterie, botteghe, insomma la socialità». Ecco, allora, il valore di istituzioni come l’Accademia. «E dei suoi studi mirati a mantenere le biodiversità, cercando di capire perché un prodotto fatto qui è diverso se coltivato da un’altra parte». Studi che, secondo Petrini, vanno estesi oggi a un sistema agricolo e alimentare ch’è «vittima e carnefice rispetto al cambiamento climatico. Carnefice, essendo responsabile del 34% dei gas serra contro il 17% dei trasporti. Vittima, essendo che per ogni grado il cambio climatico sposta le coltivazioni a 150 km più a nord e 200 metri in più di altitudine». Riflette quindi, Petrini, che «il dazio più grande, in tutto ciò, lo paga l’Africa. L’emigrazione nasce da quella desertificazione e siccità che coinvolge 50 milioni di persone, dai 120 milioni di ettari africani svenduti a Cina, Emirati Arabi, India e grandi multinazionali, dalla concorrenza insostenibile di prodotti cinesi messi in latta in Italia e poi venduti là a basso costo». Tutto connesso, ripete Petrini. E chi l’ha capito più di tutti, per lui, è «Papa Francesco, che parla di ecologia integrale, dicendo di fare attenzione perché nel disastro ambientale il prezzo più alto lo stanno già pagando i poveri». Serve, allora, una «democrazia partecipativa più diffusa che ridia valore alla comunità», dice Petrini: «Il futuro è lì. Perché nella comunità c’è quella sicurezza affettiva che ti permette di affrontare le grandi sfide senza averne paura».