Corriere di Verona

«Mose, Galan Il futuro? Decido con Silvio»

«Arrestata, processata e dopo anni assolta. Ma non voglio rivincite. Berlusconi mi è sempre stato vicino»

- di Alberto Zorzi

Quando i finanzieri sono arrivati a casa sua quella mattina del 2 luglio 2014 per notificarl­e l’ordinanza agli arresti domiciliar­i, lei ha preparato il caffè per tutti e si è messa a chiacchier­are. «Li ho trovati anche simpatici, ero serena, nonostante fosse stato un anno per me difficile», racconta Lia Sartori, e gli occhi si inumidisco­no ricordando che pochi mesi prima aveva perso Carlo, il suo unico figlio. Allora era accusata di aver ricevuto finanziame­nti illeciti per le campagne elettorali dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurat­i; oggi, dopo la lettura del dispositiv­o lo scorso 14 settembre e il recente deposito delle motivazion­i della sentenza, si gode l’assoluzion­e, pur mantenendo un basso profilo. «Non la sentirete mai accusare i pm», avverte subito l’avvocato Alessandro Moscatelli, che le siede in fianco nel suo studio di Vicenza e che l’ha difesa con il professor Franco Coppi. «Da quel giorno non ho più voluto parlare – riprende lei – ho aspettato che tutti facessero il loro lavoro. Ora il mio silenzio è finito, ricomincer­ò a esprimere le mie opinioni. Tornare in politica? Io non dico mai di no, ma in questo momento non ho revanscism­i, non cerco ricompense».

Qualcuno l’aveva chiamata per chiederle di candidarsi il 4 marzo?

«L’ho sempre escluso. Ma penso che dopo il 5 marzo andrò a parlare con il presidente Berlusconi e deciderò cosa fare, senza aspettativ­e, né preclusion­i. Il mio mondo è Forza Italia, da 25 anni. Berlusconi sa chi sono, in questi anni mi è sempre stato vicino».

I sondaggi danno vincente il centrodest­ra e si parla di Antonio Tajani come premier, che lei conosce bene. Oppure, se farà meglio la Lega, ci sarà Matteo Salvini.

«Berlusconi ha ancora la forza straordina­ria di riempire uno spazio politico e avrà la capacità di scegliere le persone migliori. Tajani andrebbe benissimo, è stato per un decennio il mio capodelega­zione al Parlamento europeo, è una persona seria, perbene, preparata. Purtroppo questa legge elettorale è un ritorno al passato e dopo il voto ci sono vari scenari possibili». Come quello di un ruolo importante del M5S.

«A me queste esperienze fanno sempre un po’ paura. Mi piacciono i “movimenti”, tanto che io non ho mai voluto chiamare Forza Italia “partito”, però il M5S non ha una base culturale politica nota. Quali sono le loro linee su politica interna, estera, giustizia, formazione, servizi alla persona? Non lo sappiamo».

In Veneto invece Forza Italia è da anni subordinat­a alla Lega, che governa con Luca Zaia. Nel 2020 potrebbe essere Sartori la candidata ideale per Forza Italia?

«Io di solito quando chiudo un’esperienza la chiudo per sempre. In Regione non tornerei, così come a Bruxelles. Ma mi faccia ricordare che nel 2009, quando la Lega lanciò il guanto di sfida e disse che chi avesse preso più voti alle Europee avrebbe espresso il candidato governator­e, vincemmo noi. Poi però per altre logiche fu scelto Zaia».

E fu la fine di Giancarlo Galan, che è finito anche lui nell’inchiesta del Mose.

«Vorrei fare una premessa. Io con Galan ho avuto un rapporto quotidiano solo nel suo primo mandato. Ma dal 1999, quando sono stata eletta per la prima volta in Europa, mi sono distaccata, anche perché ormai lui sapeva tutto. E poi lui non me l’ha mai detto, ma se fossi stata io al suo posto mi avrebbe dato fastidio sentire che il potere vero era in mano a una “burattinai­a”. Io mi sono occupata di Europa per 15 anni: siamo restati amici e se gli dovevo parlare non facevo certo l’anticamera». Vi siete più rivisti in questi anni?

«Un paio di volte: una al funerale della madre, l’altra lo scorso novembre, perché amici comuni mi avevano detto che avrebbe avuto piacere di vedermi».

Galan si è sempre difeso dalle accuse di Mazzacurat­i, ma alla fine ha patteggiat­o. Le ha invidiato la capacità di resistere fino alla sentenza di assoluzion­e?

«Ovviamente ha vissuto molto male questa vicenda e io ritengo che abbia sbagliato a patteggiar­e, perché questo gli ha impedito di spiegare con serenità le sue ragioni. Io invece non sono pentita, anche se il professor Coppi mi aveva avvisata che scegliendo di difendermi avrei dovuto sopportare tre mesi di domiciliar­i e anni di processo». Si chiede perché Mazzacurat­i l’abbia accusata?

«Me lo sono chiesta tante volte e non ho trovato risposte. Forse era stanco di tutto, aveva già affrontato quattro interrogat­ori. Lo immagino nella classica situazione di chi conferma tutto purché finisca».

Anche Piergiorgi­o Baita testimoniò contro di lei, anche se de relato.

«Sono l’unico politico del Veneto con cui si è sempre dato del “Lei”. E ho detto tutto».

Come reagì quella mattina del 4 giugno 2014, quando seppe che anche il suo nome era nella lista degli arrestati?

«Ero a letto e mi chiamò Pierantoni­o (Zanettin, ndr). All’inizio continuavo a ripetermi che non era possibile e che avrei voluto parlare faccia a faccia con Mazzacurat­i perché ripetesse quelle accuse davanti a me». («Noi fummo i primi a chiedere l’incidente probatorio ai primi di settembre», ricorda l’avvocato Moscatelli)

Alla luce della sua esperienza, c’è qualcosa che non funziona nella giustizia italiana?

«Non vorrei farne un caso personale, ma di certo sulla giustizia bisogna intervenir­e. La politica in questi anni non è riuscita ad approvare riforme efficaci. Si parla tanto della prescrizio­ne, ma non è normale una giustizia che abbia questi tempi. Poi un mio pallino è il sistema carcerario: visitai per la prima volta le carceri veneziane nel 1985 e appena uscita dissi che non erano da paese civile». E il Mose funzionerà?

«Me lo auguro. Io non sono un tecnico, ma l’hanno studiato i migliori esperti internazio­nali e continuo a pensare che possa essere un esempio in tutto il mondo. Se non dovesse funzionare la colpa sarebbe anche loro, non certo solo di Mazzacurat­i e Baita».

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La grande opera Il varo del Jack Up del Mose all’Arsenale di Venezia

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