AUTONOMIA RAGIONI E ILLUSIONI
Dopo due milioni e mezzo di voti, quattordici milioni di euro spesi per andare alle urne, novanta giorni di incubazione delle bozze di trattativa e tre minuti e 45 secondi per immortalare il rito in un video su Facebook, c’è stata dunque la firma sull’autonomia. Con una penna biro. La stessa con la quale Luca Zaia vergò la richiesta di indizione del referendum e che sa già di feticcio per i posteri oltre che di spending review. Ma cos’ha firmato, assieme ai colleghi di Lombardia ed Emilia Romagna, il governatore del Veneto cristallizzando questo giorno e affidandolo alla storia nella certezza che «nulla sarà come prima»? Ha firmato una «preintesa» che impegna il prossimo governo a mandare in parlamento la proposta di legge per la prima vera forma di federalismo in un’Italia stretta in un imbuto fatto di centralismo e di (intoccabili) Regioni speciali. Una pre-intesa firmata grazie al movimentismo istituzionale del leader leghista e paradossalmente - a un governo di centrosinistra. Lo stesso centrosinistra che nel bene e nel male varò 17 anni fa uno straccio di federalismo con la riforma del Titolo V della Costituzione e che seppur distante da forme di devolution ha ora avviato ciò che il centrodestra non è mai riuscito a far partire. Nonostante i suoi governi, che del federalismo detenevano il copyright, avessero solide maggioranze.
Non per frenare gli entusiasmi ma in tempi di grandi sogni e di grandi fake bisogna porsi alcune domande. Al di là delle intenzioni e della buona fede dei contraenti siamo di fronte a un «patto istituzionale» scritto sulla pietra o sulla vecchia carta da formaggio? Che valore d’ingaggio avrà, per il prossimo governo e il prossimo parlamento, la «carta» della pre-intesa che dalla Carta costituzionale deriva? Quanta acqua verrà gettata sul fuoco sacro di Zaia che arde più delle cinquanta sfumature di autonomia del moderato Maroni e ancor più del morbido centrosinistra all’emiliana? Sceso in campo, dicono i maligni, non solo o non tanto per inseguire il sogno del federalismo ma per una strategia di contenimento dello stesso Zaia attraverso proposte di autodeterminazione più blande dettate dal governo amico. E ancora, la domanda forse più intrigante: se come sembra a vincere le elezioni o ad essere centrale in un governo di larghe intese si trovasse il redivivo e gasatissimo centrodestra al quale Zaia appartiene, davvero sarebbe in grado di soddisfare richieste che in soldoni (tanti soldoni) si traducono in un travaso di risorse dalle regioni più spendaccione a quelle più virtuose (delle quali Veneto, Lombardia ed Emilia fanno parte)? Perché di questo, «indirettamente», si parla nel testo della pre-intesa. Di attribuire alle Regioni che lo hanno richiesto (e naturalmente a quelle che potranno richiederlo) competenze e risorse su materie finora di «proprietà» dello Stato. Con precisi freni e possibili conseguenze. Il testo della pre-intesa, se per certi versi è ancora una nebulosa, non deroga da un principio base: i conti dello Stato vanno tenuti in equilibrio, pena il default. Ciò significa che, per il principio dei vasi comunicanti, se dài a qualcuno, a qualcun altro devi togliere. La visione lombardo-veneta è molto chiara, sia nel detto che nel non detto. Si deve togliere a chi spreca e siccome a sprecare sono generalmente le Regioni del Sud, o si mettono in riga da sole o qualcuno le deve commissariare. Una tesi, questa, che sembra scontrarsi con la narrazione nazionalista e al tempo stesso para-sudista che appartiene alla tradizione di Forza Italia – il cui bacino di voti si concentra molto da Roma in giù – e ora anche alla nuova Lega (non più Nord) di Matteo Salvini. In realtà sia Forza Italia (con Brunetta) che il Matteo padan-tricolore prefigurano un’Italia dove ci sarà «più autonomia per tutti», glissando sul fatto che - come pensa invece la Lega in Veneto «l’autonomia non è una cosa da tutti». Difficile raccontare certe «verità» alla vigilia di una competizione elettorale dove ogni voto fa veramente comodo. E ancor più difficile sarà affrontare tali verità dopo. Paradossale, fra l’altro, che proprio in questi giorni alcuni governatori regionali rilancino la loro volontà di aderire formalmente alla ventata federalista con richieste di simili preintese. Fra questi, oltre a Piemonte, Liguria e Toscana, anche Campania e Puglia. Morale: autonomia per tutti, autonomia per nessuno. A meno che, appunto, a tanta voglia di federalismo non si sommi una grande e nuova vocazione al senso di responsabilità. A questo proposito, uno dei princìpi sanciti dalla pre-intesa firmata mercoledì a Roma da Zaia è il passaggio dalla spesa storica (lo Stato che trasferisce agli enti locali sempre la stessa cifra) ai costi e ai fabbisogni standard, dove classico è l’esempio di una siringa o di una garza che non può costare un tot di euro in una Usl e il doppio o il quintuplo in un’altra. Un principio sacrosanto che qualsiasi riforma - anche non strettamente federalista - dovrebbe applicare da domani mattina. L’ideale sarebbe un’Italia delle autonomie responsabile, virtuosa e solidale. Ma, appunto, siamo in Italia.