Barbero: «Pittore sociale cercava pace nel paesaggio»
«Artista innovatore, gemma dell’avanguardia»
La Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro in collaborazione con Fondazione Cariverona, dedica (fino al 20 maggio) una mostra a Gino Rossi, artista tra i più interessanti dell’avanguardia veneziana.
Chiediamo a Luca Massimo Barbero, curatore (insieme a Elisabetta Barisoni) della mostra Gino Rossi a Venezia qual è, a distanza di settant’anni dalla morte, il ruolo del pittore veneziano nella storia dell’arte del Novecento?
«Se dal punto di vista cronologico Rossi si deve definire una meteora – meno di 20 anni la sua presenza attiva nell’arte, essendo andate perdute le opere degli esordi - il suo valore nello sviluppo delle idee e delle prassi nella storia dell’arte italiana del Novecento ha il senso della alterità. Alterità verso la pittura che lo ha preceduto, alterità nei riguardi dei contemporanei che guardavano alle Secessioni come magistero per un nuovo modo di rappresentare il mondo, ma alterità anche nel rapporto con le sorgenti, pur innovative, della sua pittura. Con Arturo Martini, invece, unico contemporaneo la divergenza diventa convergenza: i due lavoravano per contrasto alla Secessione, nessun decorativismo, nessuna concessione al racconto, elaborano una via dell’arte che si scontra con il gusto comune».
Perchè la Ca’ Pesaro di Barbantini non segnò una autentica possibilità per la fortuna di Rossi?
«Proprio qui dove oggi lo celebriamo, questo che fu il più vivace laboratorio italiano, Gino Rossi espose -e per la prima volta nel 1905- i suoi lavori esplosivi per innovazione. Ma fu un unicum anche nella premessa ideologica: non era interessato al mondo borghese: a differenza dei Boccioni, dei Casorati era intento a rappresentare il mondo degli ultimi, dei semplici, degli innocenti.
È interessante questa sua umanità, proprio lui di nascita borghese, fu invece pittore sociale, nella durezza della sua verità. Come il futurismo era sedotto dal dinamismo urbano, così lui, al contrario, nel paesaggio, marino o collinare che fosse, certamente sempre alieno da paesaggismo liberty (alla Zecchin o Casorati per esempio) cercava un equilibrio, una pacificazione»
In quale movimento o artista novecentesco individuerebbe in particolare l’eredità di Gino Rossi?
«Se si considera che fin dalla mostra del 1943 al Cavallino di Carlo Cardazzo l’attenzione su Rossi era forte e significativa e che nella Biennale del ‘48, la prima dopo la guerra, gli si dedicò una sala personale, si intenderà che per una certa parte di artisti e critica il valore di Rossi non fu una scoperta ma una conferma, quasi una leggenda, enfatizzata dalla malattia e dall’isolamento. Direi che per una certa pittura - veneziana in particolare - come quella di Vedova e Santomaso la sua eredità è stata colta come una autentica gemma delle grandi avanguardie»