Terra, acqua, laguna: pennellate per compensare la sofferenza
La produzione pittorica di Gino Rossi – perdute le opere di esordio e parte di quelle elaborate a Ciano del Montello- si muove tra due tematiche fondamentali, ben testimoniate dalla mostra di Ca’ Pesaro: il paesaggio e la ritrattistica. In controtendenza con gli artisti dell’area ca’ pesarina, che pur distaccandosi dalla scuola del tonalismo e del paesaggismo di impronta ciardiana, gravitavano nella sfera decorativista delle secessioni, Rossi aveva fatto tesoro del patrimonio accumulato durante i suoi viaggi a Parigi e in Bretagna (nel 1909 e nel 1912) filtrando attraverso la sua sensibilità la lezione cromatica di Gaugin e dei Nabis. Ecco dunque prendere forma un paesaggio marino quale quello intitolato
Douarnenez (1910) che, pur non corrispondente alla reale località bretone, diventa l’icona della visione marina di Rossi. Sospeso in un mare/laguna che agglutina il cielo e definisce barche, case e rive, la veduta equorea, ottenuta con una tavolozza che oscilla tra le variazioni dell’azzurro, del bianco e dell’ocra, conferisce all’osservatore una suggestione paradisiaca, di quiete e equilibrio perfetti. E ancora nella visione delle
Barene a Burano, la compenetrazione di terra e acqua, così come il pittore ben sapeva accadere nel miracolo oscillatorio delle maree lagunari, con quel piccolo sfondamento di prospettiva coronata da una vela, racchiude miracolosamente un senso profondo di pacificazione. È questo ciò che Rossi, almeno fino al ritorno dall’esperienza bellica, chiede al paesaggio: una compensazione alla sofferenza, alla fatica di essere uomini. Quel dolore, che, invece sa raccogliere nelle linee grosse, pre espressioniste, dei visi colti in un primo piano frontale, brutale, senza mediazione di sfumati, nel contrasto alla Antonello da Messina degli sfondi neri, assorbenti. Così è per Testa di pescatore del 1912-13, e ancora più radicalmente in Il bruto del ‘13: verrebbe quasi da pensare a una sorta di precognizione della fisignomica manicomiale che gli toccò di osservare così a lungo nella seconda tragica parte della sua esistenza. Più lievi per soggetto e tonalità cromatiche le figure femminili che a Ca’ Pesaro sono ben rappresentate dalla iconica Maternità del ‘13 e da
Figura femminile 1913-14, rappresentate a figura intera, la prima intinta di una mestizia profonda, alleggerita solo dalla chiarità dello sfondo, la seconda declinata secondo la prassi del non finito, come altre volte Rossi soprattutto nei paesaggi.