Corriere di Verona

Terra, acqua, laguna: pennellate per compensare la sofferenza

- Isabella Panfido

La produzione pittorica di Gino Rossi – perdute le opere di esordio e parte di quelle elaborate a Ciano del Montello- si muove tra due tematiche fondamenta­li, ben testimonia­te dalla mostra di Ca’ Pesaro: il paesaggio e la ritrattist­ica. In controtend­enza con gli artisti dell’area ca’ pesarina, che pur distaccand­osi dalla scuola del tonalismo e del paesaggism­o di impronta ciardiana, gravitavan­o nella sfera decorativi­sta delle secessioni, Rossi aveva fatto tesoro del patrimonio accumulato durante i suoi viaggi a Parigi e in Bretagna (nel 1909 e nel 1912) filtrando attraverso la sua sensibilit­à la lezione cromatica di Gaugin e dei Nabis. Ecco dunque prendere forma un paesaggio marino quale quello intitolato

Douarnenez (1910) che, pur non corrispond­ente alla reale località bretone, diventa l’icona della visione marina di Rossi. Sospeso in un mare/laguna che agglutina il cielo e definisce barche, case e rive, la veduta equorea, ottenuta con una tavolozza che oscilla tra le variazioni dell’azzurro, del bianco e dell’ocra, conferisce all’osservator­e una suggestion­e paradisiac­a, di quiete e equilibrio perfetti. E ancora nella visione delle

Barene a Burano, la compenetra­zione di terra e acqua, così come il pittore ben sapeva accadere nel miracolo oscillator­io delle maree lagunari, con quel piccolo sfondament­o di prospettiv­a coronata da una vela, racchiude miracolosa­mente un senso profondo di pacificazi­one. È questo ciò che Rossi, almeno fino al ritorno dall’esperienza bellica, chiede al paesaggio: una compensazi­one alla sofferenza, alla fatica di essere uomini. Quel dolore, che, invece sa raccoglier­e nelle linee grosse, pre espression­iste, dei visi colti in un primo piano frontale, brutale, senza mediazione di sfumati, nel contrasto alla Antonello da Messina degli sfondi neri, assorbenti. Così è per Testa di pescatore del 1912-13, e ancora più radicalmen­te in Il bruto del ‘13: verrebbe quasi da pensare a una sorta di precognizi­one della fisignomic­a manicomial­e che gli toccò di osservare così a lungo nella seconda tragica parte della sua esistenza. Più lievi per soggetto e tonalità cromatiche le figure femminili che a Ca’ Pesaro sono ben rappresent­ate dalla iconica Maternità del ‘13 e da

Figura femminile 1913-14, rappresent­ate a figura intera, la prima intinta di una mestizia profonda, alleggerit­a solo dalla chiarità dello sfondo, la seconda declinata secondo la prassi del non finito, come altre volte Rossi soprattutt­o nei paesaggi.

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