Terremoto nel Pd, prime dimissioni
Pierpaolo Baretta Purtroppo anche qui in Veneto hanno vinto la protesta, la ribellione e la paura
«In certi posti della regione semplicemente non esistiamo più». Se il Partito Democratico trema, vacilla e affonda in Italia, il Veneto non fa eccezione. Il partito che fu del 37% solo quattro anni fa, sull’onda renziana delle partite Iva conquistate a Forza Italia nella Pedemontana, lunedì mattina apre gli occhi su un incubo: 17% su scala regionale, in molte aree ancora più giù, verso il 15%, il 12%, persino il 10%. Schiaffi dolorosi in tutti i capoluoghi, compresi quelli governati da giunte di centrosinistra di Treviso, Padova, Vicenza, comprese le roccaforti storiche, da Venezia a Schio al Polesine. All’uninominale la débâcle assume contorni plastici: 0 alla Camera, 0 al Senato, non si salva nessun collegio, è un cappotto leghista e forzista.
E così restano fuori dal Parlamento esponenti di rilievo del partito che avevano contribuito a plasmare il volto del PD al governo: fuori il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, deputato da due legislature, che a Rovigo ha raccolto il 20%, staccato di otto punti dai Cinque Stelle e più che doppiato dalla destra; fuori la senatrice Laura Puppato, candidata nel Trevigiano e nel Bellunese; fuori Rosanna Filippin, inchiodata al 18% nel collegio di Bassano. «Hanno vinto la protesta, la ribellione, la paura», commenta Baretta, riconoscendo «la sconfitta evidente e senza attenuanti del Partito Democratico e le affermazioni clamorose della Lega e del Movimento 5 Stelle». E promette, con parole molto malinconiche: «Non cessa il mio impegno civico, testimonierò il valore profondo dei nostri ideali, un Veneto accogliente e sereno». «Un risultato assolutamente deludente — commenta terreo il segretario regionale Alessandro Bisato —. E non mi nasconderò dietro al fatto che siamo in linea col dato nazionale, che in regioni come la Puglia il Pd sia molto più indietro, o che in alcune aree urbane venete abbiamo un dato tutto sommato buono. Tutto il resto della regione è un disastro che fa sprofondare qualsiasi media. Io ero candidato a Padova: abbiamo tenuto in città. Ma nella Bassa siamo il nulla assoluto. Dobbiamo ripartire da quel poco che abbiamo nei territori. Ma è, come dire, molto poco».
Infatti. Un giretto nella provincia restituisce percentuali sconfortanti, da Vandea, per i democratici: nel Coneglianese il partito si attesta con fatica sul 15%, in provincia di Vicenza idem, nel Veronese si tocca il 13%, nell’alto Bellunese si scende ancora. Resistono i centri urbani, dove il Pd resta primo partito a Padova e nella sola Venezia marittima (a Mestre trionfano, clamorosamente, i Cinque Stelle, e la segretaria provinciale dem Scattolin si dimette). Affranta Laura Puppato, che un tempo poteva, da sindaco di Montebelluna, tentare la scalata alla leadership del partito, con l’endorsement persino di Marco Travaglio: «Ogni pensiero vagamente associabile alla sinistra è stato spazzato via. In queste elezioni è successo qualcosa di molto più grave che il crollo del Pd. Si rischia di cancellare un’idea di Paese, di società, che punta sulla riduzione delle disuguaglianze e sul governo come senso di responsabilità. Ci siamo fatti travolgere da due terremoti — ricostruisce — da un lato quello dei migranti, che ha avvantaggiato Salvini, dall’altro la crisi delle banche, così forte in Veneto, che ha portato acqua al mulino dei Cinque Stelle. E sono successe cose clamorose. Ho visto Niccolò Ghedini vincere a Bassano col 51% non essendosi mai presentato in Senato: vuol dire che i lavativi possono farcela in tutta tranquillità sotto le insegne del centrodestra, si premia chi non lavora, ma ci rendiamo conto?».
E se Atene piange, Sparta non ride. Per Liberi e Uguali, ecco Flavio Zanonato, che insieme a Bassolino a Napoli e Cofferati a Genova doveva fare il ricostruttore della sinistra offesa da Renzi. Risultato, per colui che fino a qualche anno fa era il sindaco più volte rieletto di Padova: 3%. Grazie al proporzionale si salva, più o meno per il rotto della cuffia, una pattuglia di soli dieci parlamentari di centrosinistra in tutta la regione: confermati, alla Camera, la portogruarese Sara Moretto, il padovano Alessandro Zan, il veronese Gian Pietro Dal Moro, mentre a Belluno ce la fa Roger De Menech, già segretario regionale, che fa il pieno di preferenze personali. «Quassù abbiamo tenuto, soprattutto in Val Belluna, dove il risultato è sopra le aspettative», commenta. «Dentro ovviamente a un contesto nazionale drammatico. Stiamo mutando il nostro bacino elettorale: ahimè, sempre meno di massa e più, diciamo così, riflessivo». Sempre alla Camera, il Pd veneto ottiene un ulteriore seggio, ancora da decidere tra Diego Zardini e Filippo Crimì, mentre arriva Lucia Annibali, l’avvocato pesarese sfregiata con l’acido, e potrebbe farcela Nicola Pellicani, sconfitto all’uninominale nel Veneziano. Al Senato eletti la vicentina Daniela Sbrollini e il veronese Vincenzo D’Arienzo. Con la new entry, a Venezia, di Andrea Ferrazzi. Ma rispetto all’imponente gruppo dei parlamentari uscenti tutto questo è poca cosa. Il terremoto, ora, minaccia di mettere a rischio anche le prossime amministrative di Vicenza e di Treviso, e non è un caso che il sindaco della Marca, Giovanni Manildo, si affretti a rimarcare la caratura civica e non politica della sua candidatura. Nel Veneto vandeano le città sono ormai piccoli fortilizi dove ancora resiste un Pd municipale che non va oltre le mura. E guarda lì fuori, nel buio.